Giuseppe D’Abramo | Le sette domande di MediumPoesia

Giuseppe D'Abramo risponde alle sette domande di MediumPoesia, proponendo due testi poetici e una lettura originale ad alta voce

1. Tra i libri usciti nel primo ventennio degli anni 2000, ne trovi almeno 5 che per te siano fondamentali?

  1. Middlesex di Jeffrey Eugenides;
  2. Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay di Michael Chabon;
  3. La Strada di Cormac McCarthy;
  4. Homer & Langley di E.L. Doctorow;
  5. Il re pallido di David Foster Wallace;
  6. Sapiens/Homo Deus di Yuval Noah Harari;
  7. L’uomo duplicato di José Saramago;
  8. Non Lasciarmi di Kazuo Ishiguro;
  9. L’illusione di Dio di Richard Dawkins;
  10. Il complotto contro l’America di Philip Roth;
  11. Il castello nella foresta di Norman Mailer;
  12. 2666 di Roberto Bolaño;
  13. Let Them Eat Chaos di Kate Tempest;
  14. L’opera struggente di un formidabile genio di Dave Eggers;
  15. Il fabbricante di Eco di Richard Powers;
  16. Versed di Rae Armantrout;
  17. The Shadow of Sirius di W.S. Merwin;
  18. Le sei reincarnazioni di Ximen Nao di Mo Yan;
  19. 1Q84 di Haruki Murakami;
  20. L’opera dei poeti Boris Ryzhy, John Ashbery.

2. Se incontro un poeta, possibilmente, non lo riconosco subito. C’è un modo per riconoscere un poeta? Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?

Suppongo non esista un modo per riconoscere un poeta, però (come per tutto il resto) esiste un’etichetta che la gente ti affibbia, uno schema che gli altri pretendono tu segua alla perfezione, un’esecuzione pulita senza sbavature di gesti, battute, pratiche quotidiane in grado di identificarti (la gente ha profondamente paura di ciò che non riesce a definire e classificare). In maniera non dissimile esiste anche un’immagine ideale di sé, un’impressione puramente estetica che ognuno di noi cerca di raggiungere e svendere agli altri per nutrire il proprio ego e il proprio narcisismo. Chiunque dovrebbe lottare per distaccarsi il più possibile da tutto ciò, e se c’è una cosa che la poesia mi ha insegnato è che la sola affabulazione retorica ha una breve, brevissima data di scadenza.

3. Come è il tuo rapporto, in quanto autore, con i lettori e con i colleghi?  Senti di fare parte di una comunità, a cui aderisci?

Non mi sono mai sentito parte di una comunità e ho sempre rifuggito l’aggregazione stanziale. Penso sia bello e in un certo senso liberatorio condividere con altri le proprie passioni anche se a lungo andare si rischia un appiattimento della propria identità e del proprio stile in favore dell’unidirezionalità del gruppo. Mi vengono in mente le scuole di scrittura e il movimento Beat.

4. Che rapporto hai con la poesia straniera?

La maggior parte delle opere di poesia che leggo e apprezzo sono straniere.

5. Nel tuo processo di scrittura, ti capita di raccogliere stimoli da altre forme artistiche o da discipline scientifiche?

Certo, in particolar modo dal Cinema e dalle discipline scientifiche. Ritengo che queste ultime siano spesso e volentieri (e con ingiustificabile snobismo) trascurate dalla maggior parte degli scrittori e dei letterati, forse a causa di un orientamento obsoleto, perlopiù italiano, incline a nobilitare le materie umanistiche (e di conseguenza coloro che se ne occupano) a scapito di ogni altra. Devo ammettere che tutti gli scienziati che ho letto scrivono benissimo; non posso dire lo stesso di poeti, narratori e saggisti.

6. Che rapporto hai con la rima?

L’utilizzo della rima nella lingua italiana deve essere attentamente calibrato o si rischia di appesantire il testo rendendolo grottescamente cacofonico.

7. Ci sono 3 poeti delle nuove generazioni che ritieni particolarmente interessanti o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?

Maria Borio, Tommaso Di Dio, Naike Agata La Biunda

Prendi questa poesia e dalla in pasto ai gatti

prendi questa poesia e dalla in pasto ai gatti
o alle bionde con gli occhi azzurri
o sputaci sopra, se preferisci,
voglio dire, forse credi che questo
sia romantico
quanto un’unghia che incide il tuo nome
nell’acqua ma non estirpa l’ombra
dal midollo,
prendi questa poesia e mettila sotto torchio
come faresti con una strega
prima di bruciarla oppure stringila bene
tra le cosce e leggila ad alta voce.

*

Resta con me

resta con me, catrame e polvere,
il cuore come una fornace;
strade che portano chissà dove,
facce nel traffico
che sembrano caricature di una faccia
appena scatta il verde.
resta con me, pazzi spinti dentro teste
avvitate su corpi che camminano
grondando amore e finzioni,
pesci che sono pesci e uomini
da acquario destinati
ad invecchiare
nel modo più osceno e prevedibile.

resta con me, luci accese in stanze senza porte,
cervelli sull’incudine spaccati a metà;
notti di schiamazzi e risate e bottiglie rotte
attraversate da un’umanità miserabile
a caccia di futili prove della propria grandezza. 
resta con me, vicoli e cantine pieni di ombre,
quartieri che ansimano dentro un’incerata,
tieni in alto la salvezza
mentre allargo le mie braccia
come un crocifisso sotto la cenere
di un sigaro e il ricordo andato
di amori da lungo tempo andati,
lo sguardo al cielo come quello di una statua
che non vede niente,

mentre il fuoco che tengo in una mano
così eroico e triste
si consuma
con me.

Giuseppe D’Abramo

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