Inediti | Beatrice Restelli

Proponiamo alcuni testi inediti di Beatrice Restelli. Copertina: Gustav Klimt, Bosco di betulle.

Paese

Sta in superficie come il riso questo paese di grano e di asfalto dove la nebbia si alza fitta e ci nasconde. Qui si chiama tutto con un generico albero o fiore e non sappiamo i nomi di chi irriga i campi, né il mese della semina, ma solo e per forza di cose le ore del concime. Da qualche tempo hanno costruito una ciclabile dove c’era un sentiero di sassi e si salutano un poco con poco equilibrio e quando il sole tramonta sentono come un fastidio. Noi lo abitiamo dall’alto dei palazzi, con il viso verso nord, rivolto alla città, con lo sguardo oltre i pini, dentro casa.

*

Quercia

I.

Abbiamo preso un seme di quercia e ne è nato piccolo un germoglio. Appena nato non sembrava un albero perché non aveva un tronco e ancora verde si piegava al vento.
Mio fratello sa come crescere le piante, quando hanno bisogno di luce esposta e quanto buio, il ph del terriccio, il tipo di terreno. La quercia io la guardavo come una cosa un po’ viva. Mio fratello non ci ha mai parlato e lei si alzava, diventava una pianta con i rami e mi ricordo un mattino che aveva le foglie.
Non so come né in che momento, ma che è morta e comunque me ne sarei dimenticata. E sarebbe stato lo stesso perché non avrei vissuto abbastanza da vederla una quercia per davvero.

II.

Ho immaginato la nostra quercia
se fosse nata fuori da un vaso, nel bosco
con altre querce a ripararla dal vento,
che non avrebbero avuto fretta
di vederla alta, e senza attesa che fiorisse.

III.

Ora che ripenso alla quercia
è diversa, e soprattutto dalle querce di un bosco
perché insieme diventano un bosco.
Io credo che sia morta per un motivo radicale
o per averle negato la sua natura sul nascere.

*

Sentiero

I.

La prima volta che ho preso il sentiero è stato dopo averci abitato accanto per molti anni.
Non mi è mai piaciuta la campagna perché gli insetti mi fanno paura e mi pungono la pelle, ma dal quinto piano era bello quando mia mamma mi alzava dalle braccia per indicarmi le alpi che nelle mattine di gennaio sono vicine.
Per molto tempo ho guardato il sentiero senza accorgermi. È stato solo dopo, nella costrizione dei muri, che il sentiero sotto casa è diventato un posto. Ho messo delle scarpe come un atto di fiducia – perché mi raccontavi dei boschi – e di amore – perché sapevi i nomi degli alberi uno a uno che una volta ho pianto per il tuo tanto amore.

II.

La prima volta è stata a primavera
e ho avuto paura del ronzare e di essere toccata.
Correvo quasi perché l’airone mi inseguiva e per le api
che non fanno il miele ma volano a scatti.
Nella natura non c’è mai silenzio,
per questo forse il giorno dopo ci sono tornata
proprio per le api perché non ero sola anche se mi fanno paura.

III.

Di giorno in giorno ne ho imparato i confini,
i prati come un corridoio e il salice
una meta di riposo in una primavera così piena
che avrei voluto solo dirti con un gesto
di un’ape su un fiore
e che ora mi accorgevo, anche se per pochi minuti.

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