Laura Pugno / Sparare a zero. Intervista e testi

Per la quindicesima puntata del format "Sparare a zero", la redazione intervista la poetessa Laura Pugno.
  1. Tra i libri usciti negli anni Duemila puoi indicarne 5 fondamentali per il tuo percorso?

Il tempo è compresente e quindi forse più che ai libri usciti negli anni Duemila penso, nel rispondere a questa domanda, ai libri letti negli anni Duemila, a come hanno riverberato nella mia scrittura. A questa risonanza ed eco ho dedicato un romanzo-saggio appena uscito, Noi senza mondo (Marsilio), e un altro che sto scrivendo, e che è incentrato più strettamente sulla poesia. Uscirà l’anno prossimo per Il Saggiatore e il titolo di lavoro è L’oltre. Qui vorrei ricordare alcuni autori e autrici che ho tradotto in questi stessi anni, con cui quindi c’è stato un corpo a corpo immediato nella materia del testo. Rafael Cadenas, già un classico vivo in lingua spagnola, poeta della presenza e dell’essenziale, di cui uscirà per Einaudi una scelta degli ultimi testi, Lettera aperta/In risposta, nella collana Bianca, a marzo di quest’anno. Idea Vilariño, che mi ha obbligata a spogliarmi della sua lingua per entrare nella sua: Di rose che si aprono nell’acqua è il titolo dell’antologia, molto ampia, che ho curato per i Capoversi Bompiani e che è uscita nel ’21. Violeta Medina, con un lavoro al confine tra video 3D e scrittura che ha vinto il Premio Pagliani sezione Intersezioni nel 2022: L’esercizio della luce è una prima edizione bilingue in italiano e spagnolo uscita alla fine del ’23 per Ensemble, nella collana Siglo Presente curata da Matteo Lefèvre. Infine, con un balzo indietro di mille anni, le trovatrici e i trovatori provenzali de Il codice d’amore, l’antologia che ho curato per Ponte alle Grazie nel 2022.

  1. Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana? Per chi scrivi poesia?

Nella vita quotidiana, lo scrivere poesia è stata la mia stella sulla fronte, la scelta prima, avvenuta ancor prima di sapere di poter scegliere, o meglio avvenuta con il corpo insieme alla mente, su cui spesso ho tarato la giustezza di altre decisioni. Avviene in poesia di dover tacere a lungo, altrimenti ci si limiterebbe a ripetere la propria maniera, ma quando quel silenzio si protrae molto a lungo sento di essere a rischio di perdermi. Eppure, devo continuare, quando accade, ad aspettare. Tutti scriviamo per noi stessi e per gli altri, il tu è la posizione mobile dell’io e viceversa: a me piace pensare di scrivere anche per lettori e lettrici del futuro.

  1. Senti di fare parte di una comunità poetica a cui aderisci? Com’è il tuo rapporto con altri poeti viventi e con chi ti legge?

Per me, in poesia, il senso di fare parte di una comunità è molto forte – molto più forte, ad esempio, che in saggistica o in prosa. Ma con la parola comunità non mi riferisco a manifesti o tendenze poetiche, e neanche ad amicizie – che pure ci sono, e molto forti – o presunte rivalità, è qualcosa di più ampio che ci unisce anche attraverso lingue diverse. Penso, ad esempio, all’esperienza del tradursi l’un l’altro o l’un l’altra che è così comune in poesia, per i festival letterari, o in occasione di letture o pubblicazioni anche non necessariamente destinate a diventare libri: c’è un’adesione aperta o segreta a qualcosa che sopravvive come incolto, friche, come Terzo paesaggio alla Gilles Clément, nulla che può diventare tutto, casa dei dèmoni, come ho scritto nelle ultime pagine del mio primo saggio, In territorio selvaggio (Nottetempo 2018).

  1. Senti di inserirti all’interno di una tradizione poetica italiana? Avverti una particolare vicinanza con tradizioni poetiche in altra lingua?

Come scrivevo prima, per me la tradizione poetica non si divide in nazioni, ma in lingue, e attraversa anche quelle, forse perché il mio percorso di formazione e di esistenza è stato atipico, e si è svolto per molti anni all’estero. Senza questa vicinanza, questa appartenenza a un certo senso della lingua, non si inizia a scrivere poesia, il che non ha però, come dicevo, a che vedere con una diretta e immediata scelta di campo poetica.

  1. Sapresti indicare una forma artistica e una disciplina scientifica, se ci sono, che influenzano più di altre il tuo processo di scrittura? In che modo entrano in poesia?

In questo momento, a influenzare la mia scrittura, in poesia ma anche in prosa, è soprattutto il lavoro sul corpo e sul movimento del corpo, vedi anche la risposta alla domanda seguente. In quanto alla scienza, ho ammesso spesso il debito con l’ormai centenaria scienza nuova, la fisica quantistica che ci racconta un mondo in cui tutto, compreso noi stessi, siamo energia, luce entangled, e relazione, un mondo che la lingua cerca di pensare e dire senza necessariamente volerlo. Ma questo cambio di paradigma si è esteso diffusamente ad altre scienze, dalla psiconeurobiologia che ci parla della nostra capacità linguistica corporea prima che la facoltà materiale della parola in noi si sviluppi – un tessuto ritmico e metrico che ritroviamo nella lingua incarnata della poesia – alla biologia, microbiologia e alle scienze dell’ambiente che ci raccontano  i sensi delle specie animali, o addirittura vegetali, lasciandoci immaginare percezioni, se non visioni del mondo, completamente altre. Nulla di questo viene riportato direttamente, materialmente nella scrittura, ma tutto arricchisce il mondo in cui scriviamo, lo rende più denso.

  1. Che rapporto hai con la metrica e la rima?

Un rapporto giocoso, non obbligatorio, molto libero. Sono tecniche a disposizione, abiti che non necessariamente si attagliano al mio corpo poetico, anche se a volte, all’interno di singoli versi o componimenti, versi, possono farlo. A questa domanda poi risponderei con la celebre chiusa di W.B. Yeats da Among School Children, “How can we know the dancer from the dance?” Se la metrica e la rima è the dance, allora è più visibile e immediata, conosciamo i passi, possiamo anticiparli, o essere sorpresi dalle variazioni introdotte; la danza della poesia contemporanea oggi è più vicina al teatro, alla no-danza, alla performance, ma chi scrive poesia continua a essere the dancer.

  1. Tra le nuove generazioni ci sono 3 poeti che ritieni particolarmente preminenti o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?

Ad ogni nuova generazione, ogni volta, la preminenza è una promessa, e la sfida è durare. Cito tre autrici uscite o in uscita nella collana I domani che curo insieme ad Andrea Cortellessa e Maria Grazia Calandrone per l’editore Aragno: Carmen Gallo, Maddalena Lotter, Sara Sermini.

     0. Acer in fundo, se non vuoi dirci 3 poeti contemporanei che proprio non ti piacciono, puoi indicare uno o più testi del tutto distanti dal tuo modo di ‘sentire’ e ‘pensare’ la poesia?

In fondo continuo a credere alla poesia, secondo una definizione romantica divenuta classica, come infinito nel finito, e quindi la distanza è necessariamente presa dalla cattiva infinità, dal libro che nasce da impulsi altri dalla necessità poetica, dal vasto mondo di quello che ironicamente chiamo il pubblicabile, e che spesso viene pubblicato: il libro in cui ripetiamo la poesia di altri, o, peggio ancora, ripetiamo noi stessi. Nessuno è immune da questa tentazione, meno che mai oggi, tutti dobbiamo guardarcene, e anch’io. Paradossalmente, dato che mi chiamo Laura, il mio nemico è il petrarchismo.


Infine ti chiediamo di selezionare dai 2 ai 5 testi, esemplificativi della direzione più recente assunta dalla tua poesia, provenienti da un tuo libro edito e/o inediti.

Da I nomi, La nave di Teseo 2023

La parola fa questo

I

I corpi si dispongono
intorno a te con le loro ombre,
sono nello spazio

sono lo spazio e tu

conosci per sempre i loro nomi
ne prenderanno altri,
anche quelli
conoscerai, sarà tempo.

Ora, da sola,
da solo,

li vedi che usano il corpo con calore,
che toccano
come se conoscessero,

senza sfiorare la materia d’ombra,
il suo peso,
il nero che la muove

la luce separa nettamente
da qui e oltre sé
visibile, invisibile, infrarosso –

sai che è lì,
che non lo percepisci, è la tua stessa
luce-incendio.

Il giorno dopo trovi queste parole,
pietra oscura,
pietra splendente.

Da luoghi diversi ti chiamano,

nominano ciò che non
hai visto ancora,
e dalla lamina d’oro
viene questa parola, agnello
cadesti nel latte
,

così bianco cadi –

come se non ci fosse altro bianco,

altro libro da scrivere:

ma la lingua nuova, sempre, le nuove cose

la chiedono e sotto,

o dietro, nel nascosto,

ciò che è cosa da sempre,

la chiede a te, impara
il balbettio del mondo,
il giorno già accecante che ti riscalda le spalle,
poi se la notte cade
lentamente o di colpo, e in quale punto del mondo,
sceglierai il suo cadere, il cambiamento –

in quale punto del mondo sei a dire,
in che lingua
confondi la tua
e parli solo, allora
la lingua del sole sulle cose,
nel cieco del corpo?
o la sua parte, che più vede:

la poesia che puoi portare
in tasca, che scrivi su ogni specchio
o riflesso, sulle luci che in tasca
ti bruciano,
e il conto degli attraversamenti
non va a zero,
tutti i mari ricordati,
dove i nomi e gli oceani si incontrano e oltre,
c’è solo una terra bianca, penisola, il non scritto, e oltre.

II

Vedi,
fanno dei gesti semplici
senza sapere cosa, vedi
– osserva –
silenzio, vuoto al centro
non cosa fare,

come?

Fanno cose come dormire per terra,
non mangiare,
rannicchiarsi con le ginocchia contro il corpo,
fare guscio
col loro corpo, toccalo, è traslucido
diventerebbe trasparente
se solo lo toccassi

la parola fa questo,
disfa,
scioglie,
unisce, non può richiamare dalla morte? –

lo dici,

lo proibisci –

può dichiarare guerra?

 

 

La voce che dice bassissimo,

nel tuo orecchio o neanche,

cose già vere,

forse sai già, dove sei, che non c’è luogo
in cui possiamo ora vederci,

 

stare
o questo luogo è la distanza,
ha la forma della tua mente,
della nostra,

vi cade la neve cancellando
ogni volta una traccia

o le dice

come se fossero vere, queste

parole-cose, e non lo sono,

non

ascoltare più,

quella stessa voce che solo è la tua,

voltati e vattene,

porta con te
amore o corpo o quello che
hai perduto – diventato
irreversibile – compi
l’unico gesto che è metterlo
nella pelle di questa parola
e soffia dentro, hai solo
il fiato,
hai tutto il vento
venuto dai confini – di questa
terra di altre –
dove il vento irreversibilmente cade

 

e le parole d’amore non significano amore,

significano

questo essere la terra,

l’infinito aperto,
il presente che ci accompagna come il corpo,
nel corpo,
a pochi metri, e il mondo intero.

III

Il nome del mondo è oceano,
blu incessante,
ciò che muove –

tuo padre si è fatto bougainvillea,
tua madre, falco nel cielo –

e il sasso sul tavolo,
la mente nel corpo, si muove intorno,
nelle dita,

poi ti sfiorano, acqua, mare,

come cambia col sole che lo tocca,
tutto, che è mondo dici,

che è la tua pelle,
guardando verso la distesa
o dentro la corrente,
portati insieme,

colore del ghiaccio o
più scuro,
argento annerito, piombo,
ceneri, tue
e saranno le nostre,
confusi col verso delle cose,

mentre il sole ci cambia, fa
di noi oro,

e il nome del mondo,
dici,
è oceano,

nuoti fino a confonderti, fino

a non poter tornare,

la parola il gesto

parola, gesto

ripetilo come se imparassi una lingua,
la tua vera lingua,
che hai perduto.

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Luca Vaglio, Italo Testa, recensione, l’indifferenza naturale, marcos y marcos, poesia contemporanea, laboratorio critico, poesia, mediumpoesia

Luca Vaglio | Su “L’indifferenza naturale” di Italo Testa

Una recensione di Luca Vaglio al nuovo libro di poesie di Italo Testa (Marcos y Marcos, 2018). “Leggendo sembra di percorrere i momenti di un diario poetico-lirico, o di un poemetto, sulla sostanza delle cose, su di una matrice dell’esistente segreta e implicita, sfuggente ed evidente al tempo stesso. I testi appaiono come episodi non vincolati a un’impalcatura formale rigida, eppure tenuti insieme da una connessione sottile, da un tono di fondo che pagina dopo pagina diventa senso”.

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