Rudy Toffanetti / Sparare a zero. Intervista e testi

Per la diciannovesima puntata del format "Sparare a zero", la redazione intervista il poeta Rudy Toffanetti.
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7. Tra i libri usciti negli anni Duemila puoi indicarne 5 fondamentali per il tuo percorso?

Preferisco indicarne due, come riferimenti estremi della forbice all’interno della quale provo a scrivere. Da un lato dico Conglomerati di Zanzotto (Mondadori 2009), e dall’altro, truffando un pochino la domanda, dico, di Franco Loi, Aria de la memoria (Einaudi 2005), che, sebbene sia un’antologia di poesie per lo più precedenti, è stata pubblicata nel terzo millennio.

6. Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?  Per chi scrivi poesia?

Scrivo perché mi piace farlo, e questo penso che voglia dire scrivere per sé stessi. Allo stesso tempo, quando scrivo, cerco sempre di chiarire qualcosa del mondo esterno a me e alle persone che conosco e che penso leggeranno la mia poesia. Quindi, direi che scrivo con in mente un gruppo molto variegato di conoscenti, non per forza amici, e che, arrogantemente, credo possano rappresentare un campione significativo della comunità linguistica e culturale a cui appartengo.

5. Senti di fare parte di una comunità poetica a cui aderisci? Com’è il tuo rapporto con altri poeti viventi e con chi ti legge?

Ne faccio parte per forza, e lo sento. Lo sento quando leggo i loro libri. Ne avverto la pressione sociale e soffro una forma di FOMO (è divertente usare questa parola in questo contesto) quando vedo sui social gli altri eventi. Mi entusiasmo quando leggo un libro che mi è piaciuto e mi dispiace non averlo scritto. Mi arrabbio quando leggo un libro che non mi piace o non capisco; se non lo capisco, venendo ovviamente a patti con le mie energie e il tempo risicato della vita, mi sforzo di capirlo – se non lo capisco ancora mi dispiace molto, e provo fastidio. Per quanto riguarda il “chi mi legge”, onestamente non lo so e penso che lo facciano gli amici. Quando scrivo, nonostante questo, cerco di immaginare cosa potrebbero pensare dei miei testi gli altri poeti coetanei, più giovani e più anziani che conosco direttamente o indirettamente (cioè attraverso i loro testi); cerco di essere per loro chiaro, di farmi capire in ciò che voglio dire, senza ovviamente tradirmi nel piacere estetico, intellettuale ed edonistico dello scrivere secondo ciò che ritengo sia giusto.

4. Senti di inserirti all’interno di una tradizione poetica italiana? Avverti una particolare vicinanza con tradizioni poetiche in altra lingua?

In realtà, ormai superato il primo quarto del millennio, penso di sentirmi partecipe ed erede di più di una tradizione. Fino a qualche anno fa, mi sarei definito come un loiano, ossia un fedele dell’ispirazione come riemersione dell’inconscio nella lingua musicata. Oggi, non rinnegando assolutamente questa definizione, mi sono accorto che già nei miei primi testi (Sul confine Aragno 2016) c’è un’attrazione per la riflessione esistenziale e sociale e il tentativo di non farsi dettare la lingua ma di cercare di piegarla con sforzi e meditazioni al proprio desiderio di un oggetto – questo mi sembra fare più capo a Zanzotto, che lessi appunto al liceo e mi creò notevoli insicurezze circa ciò che potevo definire poesia (il suo statuto e il suo scopo), e che forse solo oggi in questi anni sto ricomponendo. In realtà, al netto del metodo con cui si scrive, della loro personalità e del loro timbro umano, non vedo eccessive differenze negli argomenti che i due trattano ai miei occhi. Del resto, Montale, che ancora nel 2025 domina spesso come poeta di riferimento, è considerato da entrambi i gruppi tanto un poeta di pensiero, filosofico, quanto un poeta di spirito; e la stessa cosa la si può dire di Saba o di Luzi, Sereni, Caproni, o perfino di Fortini… il feroce dibattito sulle poetiche, naufragato a Castelporziano, naufragato sotto i colpi delle trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche, oggi ci lascia orfani di quell’acrimonia, pieni solo della brama di avere ragione e di imporci svalutando il resto. Nella melma del dopo-postmoderno, in uno dei periodi di crisi del capitalismo finanziario e dell’egemonia americana, in mezzo alla crisi dello stato assistenzialista di modello europeo e della democrazia occidentale in genere, nel pieno della rivoluzione antropologica e cognitiva legata all’innovazione digitale, per quanto la poesia abbia sempre una relazione con il reale, penso che non sia importante discutere di tradizioni poetiche e di poetiche che legittimino ciò che scriviamo, in una ormai sterile guerra di posizione. Ciò che tento di chiedermi è: questo testo funziona o no? L’esperienza di lettura è positiva o negativa? Siamo tutti eredi di un grande dibattito. A lungo abbiamo vissuto più nelle teorie che nei testi; ossidate le visioni, abbiamo vissuto nell’abitudine. Credo sia più utile saccheggiare quel dibattito e amarlo, trarne gli strumenti utili da affinare e usare, ognuno con i propri intenti. Io perlustro la tradizione in cerca di quelle invenzioni formali e contenutistiche che posso riutilizzare per parlare a quel campione di conoscenti dietro cui penso si nasconda una comunità linguistica più ampia, e, nella visione delle illusioni, l’umanità.  

3. Sapresti indicare una forma artistica e una disciplina scientifica, se ci sono, che influenzano più di altre il tuo processo di scrittura? In che modo entrano in poesia?

I dinosauri. Mi piacciono molto.

2. Che rapporto hai con la metrica e la rima?

Le uso, se sono efficaci per dare ritmo o rendere icastico un passaggio, oppure al contrario per sottolineare un accento comico o parodico.

1. Tra le nuove generazioni ci sono 3 poeti che ritieni particolarmente preminenti o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?

No, non mi vengono in mente. Direi qualche nome di amico, ma più per affetto e malizia. Penso serva un grandissimo acume critico per rispondere a queste domande e non mi vengono in mente nomi abbastanza autorevoli. Anch’io in realtà, ora che ho finito di rispondere, mi sento profondamente in imbarazzo, ma spero in realtà di aver risposto proprio palesando questa incapacità che ho a cuore chiarire.

0. Acer in fundo, se non vuoi dirci 3 poeti contemporanei che proprio non ti piacciono, puoi indicare uno o più testi del tutto distanti dal tuo modo di ‘sentire’ e ‘pensare’ la poesia?

Per ciò che ho detto nella domanda precedente e nella domanda 4, non so, e se lo sapessi non vorrei, fornire questi nomi o questi testi. Sono consapevole di espormi all’accusa di paraculismo, ma dire questi nomi sarebbe arrogarmi il diritto di sapere cosa sia e cosa non sia poesia, anche qualora mi mascherassi dietro la scusante dell’ “opinione personale”. Non solo infatti non crederei rappresentativo di niente nessun nome che io possa fare, ma vorrei sottolineare che la poesia non è un’entità para-religiosa scesa sulla terra a miracol mostrare, che ha illuminato alcuni sapienti e lasciato ciechi gli altri; è una convenzione culturale per cui accordiamo uno statuto particolare a una certa forma di linguaggio che, a quanto pare per ora, per ora continua ad andare per lo più a capo ogni tanto. Dato il suo carattere convenzionale è normale che si creino i famosi “circoletti”, ma è sbagliato credere al loro inganno e sottolinearlo – sarebbe cedere al tribalismo, e lo ritengo umiliante. Fare i nomi potrebbe servire a fare chiarezza nella confusione, ma temo sia un’allucinazione; si tratta di un gioco di cui questa rubrica ha il merito di aver sottolineato il divertimento e il godimento piuttosto che il rancore, ma che forse non ci fa più così bene – con tutto quello che succede… Penso che sia meglio guardare quello che le poesie, distanti e vicine a noi, dicono, piuttosto che guardare quello che non ci dicono.

Ti chiediamo infine di proporci alcuni tuoi testi poetici.

Ignorano i lettori tutti, o in buona
parte credo, l’era di Ediacara,
l’Atlantide perduta dei fondali
che ha fossilizzato corpi senza bocche, arti
e senza simmetrie surreali.
Non c’erano spaventi,
nessuno ti mangiava,
non c’erano creature né c’erano i creatori:
i figli resistevano da soli
all’esistenza e questa non chiedeva
in ausilio la speranza.
Non so per primo chi
abbia cominciato a inventare
che ci fosse un’eredità o un motivo
per trionfare. Quello, penso che pensò
“Sì, dobbiamo generare” e tutte
quelle mode chiare, aperte,
umane e disumane.
Chissà se fosse inconsapevole o se premeditava.
Quella notte lui creò
la collana,
quella in cui tutte le perle pensano — o se dormono
lo sognano — di mangiare le sorelle.

*

Certo ci saranno i javelin, i tomahawk,
i patriot, le armi sono state
sempre un bene rifugio — come la vicina
emenda i pavimenti dall’ipotesi del male,
lungo, sulle strade intirizzite, 
c’è il sussurro di Milano. Acari e batteri, microbioti
di un bioma residuale, vanno cancellati
quando la colf dà ordine alle stanze,
e i figli sono a tennis, judo, boxe, arrampicata,
e qualcuno spara, crepa, ed è Black Ops,
— nell’altra Milano — ed un suo coetaneo 
spaccia, via Faenza, Missaglia, Rozzano. 
Centrifuga le tende, una volta l’anno, 
perché meglio filtri il sole e non dia paura 
il telegiornale. Accadrà che la bolletta 
sarà una fucilata, tra balcone e balcone,
se ne parla, e la vita è combustione
(rotonde tangenziale multisala), condomìni,
peli accapponati, niente è verticale.

…Non credere a nient’altro
che al tempo precedente, che qualcosa è stato
perduto — è, sarà, cos’è? qui non c’è
giustificazione al male.
Si tratta di preparare per la cena, medicare.

*

Del mondo a me non piace niente
tranne i dinosauri,
e i dinosauri sono morti,
e mi dispiace. Ma mi piace
che non vedano influencer,
venditori e chi se li farebbe a fette
sulla griglia da cucina.
Non mi piacciono i guadagni,
i consulenti, gli avvocati, e i dottori:
li detesto tutti quelli
in dote di una tecnica per vivere
e la stessa per uccidere.
Del mondo a me non piace niente,
e dei dinosauri a me piacciono le ossa.

… Forse a me piace
ciò che non è mondo.

*

Rudy Toffanetti è nato nel 1994 a Milano. Insegna letteratura e storia al liceo e collabora alla Casa della poesia di Milano. Nel 2016 pubblica le sillogi di poesie Sul confine e nel 2020 La luce della luna, entrambi presso Nino Aragno Editore. Nel 2020 per FVE pubblica Franco Loi. L’erede del sole, un saggio narrativo sul suo maestro Franco Loi.

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