Le persone che scrivono che il testo di Pier Paolo Pasolini (1922-1975) uscito per la maturità non è “pasoliniano” forse ignorano grossolanamente le sfaccettature della sua poetica. Esistono testi più rappresentativi, si dice. Ma perché? Forse perché alcuni hanno letto solo un certo Pasolini, o lo hanno letto solo in un certo modo. Pasolini è scandalo ma anche fragilità, ardore ma anche delicatezza, dagli esordi fino al cosiddetto “Pasolini apocalittico” degli anni Settanta.
Se Pasolini pubblica come ultima silloge Trasumanar e organizzar (1971), è poi anche con L’hobby del sonetto – ignorato dai più e mai uscito come libro autonomo – che si coglie la sua intima desolazione, il senso profondo di esclusione dal consorzio civile, dovuto primariamente alla sua omosessualità. Pasolini fu il primo poeta italiano moderno a esporsi pubblicamente in questo senso. E si scaglia contro la società borghese anche perché si sente rigettato da essa. Pensando alla vicenda amorosa con Ninetto Davoli, parla di un «patto reciproco» che non si può sancire legalmente e di invidia per lo «stupido anellino», simbolo dell’amore borghese a lui negato (al riguardo rimando a questo mio contributo).
Premesso ciò, concentriamoci sul testo proposto per la prima prova della maturità 2025 come traccia A, tratto dalla Appendice I a Dal diario (1943-1944). Sicuramente non è il Pasolini più noto delle Ceneri di Gramsci (1957), non è il polemista degli Scritti corsari (1973-1975), ma trovo piuttosto scorretto e ingiusto liquidarlo come un ‘Pasolini non pasoliniano’: un poeta ‘lirico’ innocuo da cameretta, con utilizzo del termine in senso deteriore e snobistico.
Il percorso poetico di Pasolini esordisce all’insegna del friulano e della rivisitazione anche in italiano della tradizione lirica classica e in particolare dei temi idillico-elegiaci. Ma come non cogliere la desolazione di chi osserva da una stanza chiusa “un medesimo mondo” che non cambia durante il Fascismo e la Seconda Guerra Mondiale, mentre il cuore muta e avviene il passaggio dall’adolescenza alla maturità? Stupenda e per nulla banale è l’immagine delle “mille lune” che “non son bastate a illudermi di un tempo / che veramente fosse mio”. Pasolini ha sempre ricercato ossessivamente quel tempo e – se si legge attentamente il testo – la chiave interpretativa è proprio nell’ossimoro, cifra stilistica di tutto Pasolini.
La luna – simbolo ricorrente nella tradizione lirica e che può indicare anche la speranza d’amore – si rinnova quando il poeta riscopre “il canto antico”, proprio nel momento in cui il “perfetto inganno”, quello perpetuato dalla società repressiva, che lo tiene chiuso in camera, sembra non potere più dare spazio alla speranza di un mutamento. C’è tutto Pasolini in nuce, anche nella sua splendida naïveté, nel suo ideale di trovare in un mondo pre-industriale, antico, una possibilità di salvezza a quella lancinante desolazione. E così il Pasolini che passa dall’adolescenza alla giovinezza attraversa tutta la tradizione lirica, da Saffo a Pascoli, cercando di rivitalizzarla.
Chi lo ha studiato davvero sa che l’autore di Casarsa già dagli esordi è vicinissimo alla lirica greca arcaica, a Leopardi e a Pascoli – non a caso due poeti non propriamente inquadrabili, anche sul piano ‘sessuale’, nel modello normato della loro epoca. In sintesi, se si ignora questo Pasolini, non si capisce l’altro Pasolini. In questo c’è l’altro, e viceversa, inscindibilmente.
Ma questo, in fondo, importa poco. Il testo proposto alla maturità permette molteplici collegamenti con i programmi affrontati, dalla letteratura italiana a quella classica, fino alla storia e alla filosofia. Il problema è forse che PPP nei programmi nemmeno compare e in nessuna veste era mai comparso alla maturità. Non lo conoscono i discenti, ma forse nemmeno i docenti.
Ricordo che non fu mai menzionato nel mio programma di liceo, come fosse un tabù, se non dalla docente di inglese, che era all’avanguardia. Lo studiai per conto mio e decisi di portarlo io all’esame, dato che mai sarebbe potuto ‘uscire’, intitolando la tesina: Pier Paolo Pasolini: teoria e critica della società. E infischiandomene delle logiche di punteggio.
Da allora ho proseguito gli studi pasoliniani, dalla tesi di laurea triennale fino ai contributi scientifici più recenti. E continuo a parlare nelle aule di Pasolini, autore frainteso e ancora oggi poco compreso, usato spesso come insegna ideologica o ridotto a propaganda, come è emerso dal numero speciale che ho curato per l’Ulisse nel 2024: Pasolini e il suo mito. Tradizione letteraria e metamorfosi intermediali.
Mi auguro quindi, al di là delle polemiche, che il suo tardivo ingresso alla ‘maturità’ sia un segnale per iniziare a studiarlo seriamente nelle scuole, insieme al vivo pullulare letterario del secondo Novecento, da Andrea Zanzotto a Vittorio Sereni, fino alla contemporaneità anni Duemila, di cui urge riappropriarsi.
Invece, si è tornati indietro, negli anni Sessanta/Settanta si studiavano i poeti e gli autori viventi, ora non solo sono ignorati i contemporanei, ma anche i loro predecessori novecenteschi vengono trattati frettolosamente, solo se ‘avanza’ tempo. E tempo non avanza quasi mai…
Appendice I, Dal diario (1943-1944)
Mi ritrovo in questa stanza
col volto di ragazzo, e adolescente,
e ora uomo. Ma intorno a me non muta
il silenzio e il biancore sopra i muri
e l’acque; annotta da millenni
un medesimo mondo. Ma è mutato
il cuore; e dopo poche notti è stinta
tutta quella luce che dal cielo
riarde la campagna, e mille lune
non son bastate a illudermi di un tempo
che veramente fosse mio. Un breve arco
segna in cielo la luna. Volgo il capo
e la vedo discesa, e ferma, come
inesistente nella stanca luce.
E così la rispecchia la campagna
scura e serena. Credo tutto esausto
di quel perfetto inganno: ed ecco pare
farsi nuova la luna, e – all’improvviso –
cantare quieti i grilli il canto antico.