1. Tra i libri usciti nel primo ventennio degli anni 2000, ne trovi 5 che per te siano fondamentali?
In ordine sparso –
di Domenico Brancale, Per diverse ragioni (Passigli, 2018); di Vito Bonito, La vita inferiore (Donzelli, 2004); di Antonella Anedda, Historiae (Einaudi, 2018); di Biancamaria Frabotta, La materia prima (Mondadori, 2018); di Guido Mazzoni, La pura superficie (Donzelli, 2017).
2. Se io incontro un poeta, possibilmente, non lo riconosco subito. C’è un modo per riconoscere un poeta? Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana?
Non sono d’accordo con la premessa alla domanda. Credo che i poeti, gli artisti, si riconoscano. Il quotidiano appartiene ad ognuno in modo diverso, questo è certo, ma è in esso che il nostro essere individuale emerge con più chiarezza. Poeta è una parola pericolosa, esiste all’esatta metà tra la vita pratica e la vita interiore. Il poeta non scrive se non è poeta, non è poeta se non scrive. È difficile perfino scegliere il verbo da accostarle: essere poeta, fare il poeta? Le persone a cui questa parola appartiene davvero non lo celano né lo mistificano. Né potrebbero, d’altronde, come non si mistificano i feticismi o il colore degli occhi.
3. Come è il tuo rapporto, in quanto autore, con i lettori e con i colleghi? Senti di fare parte di una comunità, a cui aderisci?
Alle persone che leggono le mie poesie sono grato, sempre. I versi che scrivo non sono più io, sono oltre me. Leggerli significa donare loro momenti di vita e di tempo. Di tutto ciò, a me resta di interiorizzare l’aver ricevuto uno sguardo, una cura, per interposta persona.
Sarebbe sbagliato dire che sento di avere “colleghi”. Conosco diversi poeti di cui adoro l’opera, alcuni dei quali sono miei amici. La gratitudine connota pesantemente anche il mio rapporto con loro, prima ancora dell’affetto. Sono grato a chi vive – direbbe un poeta a me caro – nella parola, accettando il compromesso di una vita incrinata. È il compromesso dei santi, e la santità non è mai solo per sé stessi.
Ad ogni modo, certo, la ‘società letteraria’ esiste da sempre e così anche oggi. Farne parte – se poi davvero se ne fa mai parte – è per me un atto politico, oltre che privato. Finché sarò in grado, insisterò.
4. Ci sono delle tradizioni poetiche in altra lingua, che conosci o ti affascinano particolarmente?
In questo periodo sono vicino alla poesia americana contemporanea.
5. Nel tuo processo di scrittura, ti capita di raccogliere stimoli da altre forme artistiche o da discipline scientifiche?
Credo di aver interiorizzato un rifiuto viscerale per le discipline scientifiche. La scienza moderna si fonda quando un gruppo di intellettuali decide di sradicale il principio della sacerdotalità dall’erudizione, rendendola accessibile a chiunque. Questa fondazione originale è oggi venuta meno, la complessità delle forme scientifiche le rende ormai inaccessibili ai più. In questo senso non credo esistano differenze tra uno scienziato del ventunesimo secolo e un iniziato ai riti eleusini dell’antichità. Questo per dire che, no, non raccolgo stimoli da materiali scientifici perché mi rimangono inesplicabili. Da altre forme artistiche, al contrario, sempre. Non credo di aver mai scritto qualcosa scevra di connessioni con altre opere letterarie, figurative, cinematografiche, musicali.
6. Che rapporto hai con la rima?
Se ne ho uno, è casuale. Cerco più spesso il silenzio che la musicalità. Le coincidenze di suono sono giorni di pioggia – bellissimi, ma indeterminati.
7. Ci sono 3 poeti delle nuove generazioni che ritieni particolarmente preminenti e/o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Sacha Piersanti, Ilaria Palomba, Costantino Turchi.
Infine ti chiediamo di selezionare dai 2 ai 5 testi, esemplificativi della direzione più recente assunta dalla tua poesia, provenienti dal tuo ultimo libro e/o inediti (e se possibile fornirci delle audio-letture dei testi).
Quattro poesie da Poesie di ieri
Oèdipus, 2019
Fammi venire senza toccarmi
delicata di gelsomino,
d’ansia e di debole sussulto
dei numeri della mitologia universale
di lavatrici, di templi.
Voglio per me solo il riposo e la debolezza
e le tue mani sul viso,
che il corpo dia il senso inafferrabile
di specchi
l’uno davanti all’altro.
Ma corteggia il lamento del non avrei mai creduto
e impara a memoria ogni verso
ogni particolare,
ogni addormentarmi
sul tuo corpo di candido difetto,
di confusione mentale.
*
Nasceresti in ogni timida richiesta
che porta al pianto,
negli effimeri sogni d’ogni sorta
come tutte le cose che durano in eterno
e devono separarsi dal resto.
Vagando tra cose che non esistono né in te né in me
giacciono in rovina i tagli per cui non soffri affatto
tanto rapidi sono stati inferti
dai nostri mesi.
*
Te ne vai
nella routine del tuo male immenso
incustodita.
*
Contrappeso della mia solitudine
i miei incubi d‘autostrada.
il desiderio di dimenticarti,
domani
di non dimenticarti.
Sei l’intimità della mia dissociazione,
così scivoli dietro di me come la notte
che mi adagia un nastro sulle palpebre
e lo tira da dietro.
*
Una poesia da «L’age d’or», Anno I, Ottobre 2020
A Mario Benedetti
È già molto dal punto di vista della relazione
avere più di un quarto d’ora per guardarti
vestire
inalare l’eterno in aerosol di complessi,
l’inverno di Nimis –
la responsabilità morale dei nostri sogni.
Non hai bisogno della voce
non distrarti. ti scongiuro.
A poco a poco scompariamo da quando siamo nati
e qualcosa in me si spezza ogni santa volta
che scrivo hai scritto hai detto “hai abitato abbastanza
il corpo
Stefano Bottero
foto di copertina: Dino Ignani