Anteprima / Forugh Farrokhzad, “Io parlo dai confini della notte”

Si propone un'anteprima di testi da "Io parlo dai confini della notte. Tutte le poesie" (Bompiani, 2023) di Forugh Farrokhzad (1934-1967), a cura di Domenico Ingenito

Io mi chiedo sempre per quale motivo la musica della mia poesia risulti così estranea alle vostre orecchie. Perché sono tanti quelli che non possono digerirla agevolmente? Forse perché mi accusano di contribuire con i miei versi alla diffusione di dissolutezza e corruzione? Forse a una donna non è permesso di comunicare in poesia la verità del proprio sentire rispetto a qualsiasi oggetto di desiderio? Se io mi limitassi a scrivere una poesia che descrive il corpo, gli occhi e le fattezze del viso di un’altra donna e non di un uomo, esprimerei forse il mio vero sentimento? Versi del genere potrebbero infine attrarre i miei lettori? In occidente è ormai una questione obsoleta, ma qui in Iran tutto questo suscita ancora stupore e avversione.

Con queste parole, nella postilla a Prigioniera, del 1955, l’allora ventenne Forugh Farrokhzad difendeva il contenuto erotico della propria poesia in un Iran che ancora non sapeva come accogliere la novità sovversiva di uno sguardo poetico femminile che osasse posarsi apertamente sul corpo di un uomo. Nove anni dopo, la poetessa apriva con i versi seguenti il canto conclusivo di una delle più straordinarie raccolte poetiche del Novecento, Una rinascita (1964), opera totale che trascende l’identità di genere e la separazione tra i tempi della vita e il tempo del ritmo poetico. Ritmo che ripete se stesso oltre la scomparsa di chi scrive e di chi legge: “Il mio intero essere è un versetto oscuro / che nel ripeterti al suo interno / ti condurrà all’alba di eterne crescite e fioriture. / Io ti sospiro in questo verso, ah / in questo verso ti unisco all’albero, / ti unisco all’acqua, ti unisco al fuoco.”
[…]
Il successo di cui gode oggi il ricordo di Forugh Farrokhzad sia in Iran (nonostante la censura) che in altri paesi di espressione persiana (Afghanistan, Tajikistan, Uzbekistan), accompagnato dalla complessa ricezione delle sue opere, rende difficile riassumere nello spazio di un’introduzione l’eccezionalità della sua voce nel panorama della poesia iraniana del Novecento. Morta nel 1967 a trentadue anni in un incidente d’auto, Farrokhzad continua a esercitare la sua influenza letteraria ben oltre i confini della lingua persiana. Scrittrice, ma anche documentarista, produttrice cinematografica e attrice, Farrokhzad ha fatto della poesia la sua principale risorsa vitale e della propria esperienza di vita la sua unica realtà poetica in un contesto letterario dominato dal patriarcato di formalismi statici. Con la sua opera, infatti, inaugura negli anni Cinquanta l’ingresso iraniano nella modernità lirica. E si tratta, questa, di una modernità che nell’odierna Repubblica Islamica dell’Iran ha mostrato tutta la portata dei suoi risvolti socio-politici soltanto un anno fa, nel corso delle manifestazioni di matrice femminista legate all’assassinio di Mahsa Amini, che hanno messo in luce la povertà ideologica di un regime teocentrico e inattuale.

Domenico Ingenito

***

IL SOGNO, da Prigioniera

Siamo rimasti io e questo freddo stare soli
ricordi di un lontanissimo passato
memoria di un amore che portò via con sé
pena e amarezza a spegnersi
nel cuore di una tomba.

Una mano incantatrice accese una candela
sulle rovine della mia speranza,
dal ventre della fossa
un morto saldò ai miei occhi
i suoi occhi infuocati.

Gemendo e piangendo mi dissi che è lui,
il suo sguardo versava in me terrore;
un sorriso attraversò le sue labbra:
“Mi conosci, tu, dissoluta?”

Il mio cuore tremò nell’estremo lacerarsi
povera me, che pazza che ero
povera me, io lo avevo ammazzato
ah, quanto estranei noi due!

Lui mi concesse il suo cuore, ma cosa
ottenne dall’amarmi se non sofferenza?
Con l’orgoglio che mi accecava gli occhi
gli camminai sopra il cuore.

Gli donai solo angoscia e sofferenza
lo sotterrai nel nerissimo suolo,
povera me, o mio Dio, mio Dio
lo trascinai all’abbraccio della tomba.

Un urlo s’insinuò nel silenzio delle labbra
la fiamma della candela tremò inebriata
i miei occhi dal cuore delle tenebre
videro una lacrima in quegli occhi.

Corsi da lui come bimba penitente
per spargermi ai suoi piedi in lacrime
supplicando che “ero pazza, pazza,
potrai avere pietà di me?”

La mia gonna rovesciò le candele
gli occhi affondarono nel buio
gli scongiurai di non andare via
ma partì, andò via, senza fiatare.

Povera me, ero pazza, pazza,
lo sotterrai nel nerissimo suolo
povera ma, io lo avevo ammazzato
trascinandolo all’abbraccio della tomba.

Tehran, luglio / agosto 1954

*

LEGAME SPEZZATO, da Il muro

C’era un fuoco: si estingueva
e una catena: si slacciava,
quando il cuore da te si liberava
si rompeva la coppa magica del tormento.

Ero venuta per aggrapparmi a te
ma ti vidi ramo senza foglie
e sul volto delle mie speranze
eri il sorriso della morte.

E quanto mi è dolce,
amore intriso di bisogno,
calpestare la lastra
della tua tomba.

E quanto mi è dolce
chiudere a te gli occhi, o bacio
bruciante di morte.

Ah, quanto è dolce separarmi da te
e lanciarmi nelle braccia di un altro,
slacciare sul suo petto il peso del dolore
e il paradiso è qui, lo giuro,
il margine dei campi, i riflessi delle nuvole.

Farai bene a non pensare a me
o al dolore che mi spacca dentro
perché io non troverò mai sollievo
e nessuna fiamma mi accende.

*

LA RIBELLIONE DI DIO, da Ribellione

Questo poemetto in realtà è il frutto del mio primissimo tentativo di composizione della raccolta Ribellione e forse sarebbe dovuto apparire in quel contesto. A ogni modo, dal momento che è trascorso un lungo lasso di tempo tra la nascita dei due poemi, per me questo frammento è dotato di una personalità differente, e per questo motivo ho deciso di pubblicarlo come testo a sé stante in questa raccolta.

Se io fossi Dio urlerei una notte agli angeli
ché scaglino la moneta del sole nel crogiolo del buio.
E con ira ordinerei ai servi del giardino del mondo
di strappare la foglia gialla della luna dal ramo delle notti.

Dalla corte dei miei arcangeli e tra i suoi veli
distruggerei l’intero mondo con la furia del mio pugno.
Dopo millenni di silenzio le mie mani stanche
affonderebbero montagne nelle bocche spalancate degli oceani.

Scatenerei milioni d’astri sfavillanti,
e del fuoco spargerei il sangue nelle vene silenziose dei boschi.

Strapperei la cortina di fumo,
perché inebriata danzi la ragazza del fuoco
nell’abbraccio delle foreste e nell’urlo del vento.

Soffierei nel flauto un vento notturno d’incanto,
perché si levino dal letto dei ruscelli serpenti assetati
stanchi di strisciare per una vita intera sopra un umido petto,
per sprofondare nella palude oscura del cielo.

Con grazia direi ai venti di far scorrere sui fiumi di febbre
il profumo di fiori rossi come battello ebbro.
Spalancherei le tombe, per far ritornare
migliaia di spiriti erranti alla fortezza segreta dei corpi.

Se fossi Dio urlerei una notte agli angeli
ché facciano ribollire l’acqua celestiale nella fucina
dell’inferno, e con fiamme ardenti tra le mani
scaccino il gregge degli incorruttibili
dai pascoli peccaminosi dell’Eden.

Stanca dell’ascesi divina, a mezzanotte,
nel letto di Satana, stanca dell’ascesi divina
cercherei riparo nella tentazione di un nuovo errore.
Al prezzo della corona dorata del Signore dei Mondi
sceglierei un piacere nero e doloroso
nell’abbraccio del peccato.

2 settembre 1956, Roma

*

FUGACEMENTE, da Una rinascita

Per quanto ancora si dovrà vagare
ogni volta di terra in terra?
Io non posso, non posso cercare
a ogni istante un altro amore, un altro amico.
Magari fossimo quelle due rondini
in viaggio per l’intera vita
di primavera in primavera.
Sospiro per le macerie scure che da tempo
ormai sembrano crollarmi addosso
da nuvole pesantissime.
Quando mi mescolo ai tuoi baci
penso al profumo che veloce
si estingue sulle mie labbra.

Il tormento del mio amare
è così intriso di terrore della fine
che quando io ti guardo la mia vita intera vacilla:
è come se guardassi dalla finestra
il mio albero solitario rigoglioso di foglie
nell’ingiallire febbrile dell’autunno.
È come se guardassi un’immagine
nello specchio confuso delle acque correnti.

Giorno e notte
giorno e notte
giorno e notte

lascia
che io dimentichi.

Ma cosa sei tu se non un istante, un istante che
mi spalanca gli occhi
nella voragine cieca della coscienza?

Allora lascia
che io dimentichi.

*

IL DONO, da Una rinascita

Io parlo dai confini della notte
dal termine del buio
e parlo
dei confini della notte.

Se vieni a casa mia, caro, portami un lume
e uno spiraglio da cui poi guardare
la folla nel vicolo felice.

 

Si segnalano a dicembre 2023 le seguenti presentazioni del libro:

6 dicembre, Roma: libreria Panisperna 220, ore 19, con Giuseppe Cederna e Camilla Miglio;
7 dicembre, Roma: La Sapienza, ore 14;
11 dicembre, Milano: Libreria Alaska, con Tommaso Di Dio, ore 19;
13 dicembre, Venezia: Ca’ Foscari;
18 dicembre, Firenze: Libreria Brac, con Rosaria Lo Russo;
19 dicembre, Napoli: Libreria Ubik – Biblioteca Nazionale.

 

 

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