Francesco Ottonello: I corpi a mezzanotte (Interlinea 2021) è il tuo primo libro in italiano, dopo esserti affermato come una delle voci più interessanti della nuova poesia spagnola. Lo scrivere in castigliano, che chiamerei la tua “lingua-madre adottiva”, viene tematizzato nei tuoi stessi testi, ad esempio quando ti chiedi se tua madre parlasse spagnolo e leggesse le tue poesie. L’italiano è stata, invece, fino ad ora una sorta di lingua madre rinnegata? Per quali motivi?
Angelo Nestore: Vivere, scrivere e pensare in una lingua straniera implica, in un certo senso, scolpire l’identità dalla distanza, accettare che la definizione del mondo, del corpo e del sistema simbolico di appartenenza può assumere una dimensione diversa, con nuove sfumature e nuovi angoli di campo. Quando dico yo soy invece di io sono e mi sento parte della frase, in realtà, sto accettando la possibilità dell’esistenza di un’altra forma di identificazione:
Quando dico yo soy
accetto che mia madre diventi un pajaro,
mi strappi la lingua,
si accovacci en mi boca
y muera.
Francesco Ottonello: Uno degli aspetti che mi ha affascinaro della tua poesia è la messa in crisi, in senso queer, della rigidità delle figure dell’eternormatività e della dicotomia maschile/femminile. Nella terza e quarta sezione si trova un immaginario al contempo dolce e perturbante, incentrato su una figlia desiderata, sospesa tra situazioni reali e irreali. Che cosa significa definirsi madre (ma in un tuo testo l’Io è identificato anche come padre)? Si potrebbe parlare di un Io poetico androgino?
Angelo Nestore: La morte della lingua madre ha, di fatti, molto a che vedere anche con la dissidenza di genere, con la possibilità di costruire un desiderio sovversivo perché si scrive e si pronuncia in un modo totalmente diverso da quello a cui una persona è stata da sempre esposta, dall’enunciato eteronormativo. Perché concepisco la lingua come uno strumento politico per dare visibilità e ripensare la nostra forma di operare come agenti oppressori e oppressi. Tutto ciò, mi ha dato l’opportunità di costruire il mio corpo e la mia scrittura poetica da una specie di balbettio, da una insolita inconsapevolezza che si è rivelata essere la chiave di un paradigma emancipatore che mi ha liberato dal sistema binario uomo/donna o lingua originale/lingua adottiva e mi ha offerto un’ampia scala di grigi. Proprio da lì sorge l’opportunità di abitare un desiderio frustrato, come la maternità, di concedere alla scrittura poetica e alla letteratura la sofisticazione del piacere, di accedere a un’esperienza negata dalle leggi del corpo, non tanto inteso come uomo/donna ma come soggetto ingravido (non dimentichiamo, infatti, che un corpo che non può dare alla luce non è necessariamente culturalmente legato alla mascolinità). La negazione della materialità non implica l’assenza del desiderio, della fantasia, della celebrazione del corpo queer inteso come fantasmagoria. La stesura di questo libro è stata vissuta proprio come una forma altra di gestazione: sono stato padre e madre.
Francesco Ottonello: Al di là delle peculiarità di un paradigma bisessuale valido per il mondo greco-latino ma anche per quello orientale (penso ad esempio al Giappone pre-occidentalizzazione), l’omoerotismo, vissuto tra le due istanze di sofferta repressione e orgogliosa liberazione, ha un’ampia tradizione in poesia anche nella lirica spagnola. Mi riferisco sia alla Generación del medio siglo, in particolare ai poeti della rivista Cántico come Pablo García Baena e Ricardo Molina, ma anche a Francisco Brines e Vicente Núñez, o ancora alla Generación del 27 con Luis Cernuda e Federico García Lorca. C’è una volontà di richiamarti a questa linea, anche per la centralità del tema del corpo? Rispetto a una linea italiana Saba-Penna-Pasolini-Bellezza-Buffoni, che Luca Baldoni nella più importante antologia critica italiana sul tema individua come centrale, in che modo ti poni? Hanno avuto un’influenza nella tua scrittura? Quali sono i poeti, ma anche i pensatori e gli intellettuali di altre tradizioni a cui fai riferimento?
Angelo Nestore: Nel mio percorso di costruzione del desiderio queer poeti come Buffoni o Pasolini sono stati fondamentali per offrirmi gli strumenti formali e concettuali necessari per la stesura dei miei testi. Pensando ad altre voci, non posso non citare il lavoro di intellettuali e filosofi come Paul B. Preciado, Judith Butler, Donna Haraway o Monique Wittig o la poesia contemporanea di Eileen Myles, Franny Choi, Billy Ray Belcourt o Ren Hang, il teatro di Peeping Tom o di Angélica Liddell e la musica di Franco Battiato o Janis Joplin.
Francesco Ottonello: La tua poesia predilige il verso libero e troviamo un largo utilizzo di versi-frase; al di là di ciò, il tuo lavoro è legato anche al teatro e alla performance. Citando Paul Valery, la poesia è un’esitazione prolungata tra il suono e il senso. Pertanto, al di là del discorso tematico, come ti approcci alla questione del ritmo in poesia?
Angelo Nestore: Più che parlare di poesia, di fatti, preferisco parlare della suggestione di ciò che è poetico: un approccio queer al verso per me deve essere trasversale non solo a livello concettuale ma anche formale. Per questo, il mio processo creativo di scrittura è sempre accompagnato da una ricerca sul ritmo che passa dalla penna al corpo, dal corpo alla voce. Così nascono discorsi ibridi, come Lo inhabitable, un dispositivo scenico più che un teatro, reading e performance o un nuovo progetto poetico-musicale su cui sto attualmente lavorando.
E io chi sono?
La mattina abbandono il mio sesso.
All’imbrunire ritorno
quando mi svesto per entrare in doccia.
Mia madre dice sempre che ho le spalle di mio padre.
Con il vapore sullo specchio il profilo è più ampio, più generoso.
Traccio una linea retta con le dita, la cancello con la mano.
Negli occhi custodisco la tristezza delle bambole
che giocarono a esser figlie
e che i miei finirono per regalare.
L’acqua fredda mi riporta al mio corpo,
nascondo il pene tra le gambe.
Mamma, a chi assomiglio?
*
Camera ardente
Non è una donna che lucida una lapide,
ma una madre che fa il bagno a suo figlio.
Javier Fernández
Quando esibite il suo vestito nuovo, appena lavato,
quando parlate della sua prima parola o del primo dentino,
o vi domandate se sia meglio dargli il latte al seno o in polvere
io vi prenderei tutti per mano,
vi porterei in silenzio alla veglia funebre sul mio letto,
dove mia figlia gioca eternamente a far la morta.
Vi mostrerei il colore dei suoi occhi falsi,
la sua faccia gonfia di sonno arretrato,
le dita rugose, i capelli puliti,
dopo averle fatto il bagno con cura ogni sera.
Guardatemi. Anch’io sono un buon padre.
*
Su quando sbagliai bar
Io sono quel tipo di amico
che ordina sempre un altro giro al bar.
Non ho figli,
sono il figlio unico di una dinastia di bastardi
che si riempie la pancia e si autodistrugge.
I miei amici, invece, sono genitori
e cercano una scusa per tornare a casa tardi,
me ne offrono sempre un altro,
non vogliono mai che me ne vada.
Loro mi guardano e cento volte
mi raccontano cento volte quant’è difficile,
quanta la mia fortuna.
Loro non vedono le formiche che mi si arrampicano sulla gamba,
non le vedono.
Bevono il tempo con la loro bocca da genitori,
ingoiano il tempo con la loro saliva da genitori
e io divento sempre più piccolo
e i loro figli sempre più grandi.
E a quaranta, a cinquanta,
tornerò allo stesso bar all’angolo
e allora quelli che oggi sono bambini si chiederanno perché
avrò tutte quelle formiche in bocca,
perché l’amico dei genitori continua a credersi giovane.
A cinquanta, a sessanta,
chi mi porterà a casa,
chi terrà il mio corpo sotto le lenzuola.
A sessanta, forse, a settanta
chi risponderà alle mie domande,
chi mi dirà quant’è difficile
quanta la mia fortuna
quando un giorno mi sbaglierò e ordinerò un altro giro
davanti alla solitaria luce del frigorifero di casa.
*
Se mia madre parlasse spagnolo e leggesse le mie poesie
Se mia madre sapesse che suo figlio vuole diventare madre
prenderebbe il primo volo per la Spagna.
Ritrarrebbe le gambe,
si amputerebbe le braccia,
si schiaccerebbe le vertebre,
inghiottirebbe uno ad uno i denti
e i suoi sessant’anni.
Si farebbe sempre più piccola,
inventerebbe una lingua,
ricomincerebbe a balbettare
per diventare mia figlia.
testi: Angelo Nestore
dialogo a cura di: Francesco Ottonello
Angelo Nestore
Ángelo Néstore (Lecce 1986 / Málaga) ha pubblicato "Hágase mi voluntad" (XX Premio de Poesía Emilio Prados, Pre-Textos, 2020), "Actos impuros" (XXXII Premio de Poesía Hiperión, 2017),tradotto in inglese con il titolo "Impure Acts" da Lawrence Schimel per la casa editrice Indolent Books e "Adán o nada" (Bandaàparte Editores, 2017). Quest'anno uscirà la sua prima raccolta in italiano, intitolata "I corpi a mezzanotte" (Interlinea Poesía, 2021).