Simone Burratti | In contrapposizione alla vita

Un dialogo-intervista, condotto da Silvia Righi e Berenice Valerio, con Simone Burratti, poeta e fondatore del sito «formavera». Il suo libro d'esordio si intitola "Progetto per S." ed è uscito per la casa editrice NEM nel 2017. In questo articolo proponiamo cinque testi poetici, di cui uno inedito (7-5-8) e due (Grisù che dorme, Asparagi) estratti dal progetto in lavorazione "Come un erasmus". Le poesie sono accompagnate da una video-lettura dell'autore. (Foto in copertina: Nadia Gentile)

Il prurito menzionato in 7-5-8 è un’irrequietezza che non sembra avere prospettive di risoluzione; anche il fatto che la cassaforte si trovi “fuori dal tempo” la relega in un luogo in cui le cose “stanno così”, sottraendola da varie possibilità provenienti da passato o da una qualsiasi evoluzione futura. C’è un’indifferenza nei confronti del divenire, ed è come se il tempo fosse concepito come un fatto riguardante perlopiù gli altri (mi viene in mente l’ultima parte di Grisù che dorme), come se fosse possibile “calcolarlo” dall’esterno perché non vi si partecipa. E quando si “rimane” in un’epoca (Asparagi) si scivola subito in una dimensione onirica, anch’essa per definizione atemporale. Una simile prospettiva sembra quella di chi guarda gli altri «mentre realizzano la vita» e subiscono il tempo. Qual è il significato di questa dimensione spazio-temporale nebulosa?

È un discorso complesso, e già nella domanda ci sono osservazioni in cui mi riconosco ma a cui non avevo mai pensato. Nei testi in questione, e in Progetto per S. interamente, il tempo è visto come il principale veicolo del destino individuale (il progetto, appunto) a cui il soggetto cerca inutilmente di sfuggire. Sottrarsi al tempo e all’azione mi sembrava allora, nella scrittura come nella vita, l’unica soluzione per contrastarlo. Questa visione, rivelatasi fallimentare, viene ripresa anche negli inediti qui presenti, ma è costantemente sotto accusa, soprattutto quando contrapposta a quella di chi, nel bene e nel male, ha accettato di stare nella vita e di portarla avanti, senza ridursi a un voyeur come il sottoscritto. Morale della favola: se il tempo è un CD già registrato e in continua riproduzione, se proprio non lo si può riscrivere, tanto vale non interromperlo e ascoltarselo.

In un passo del saggio Una certa idea di paesaggio Zanzotto scrisse: «Il mondo costituisce il limite entro il quale ci si rende riconoscibili a sé stessi e questo rapporto, che si manifesta specialmente nella cerchia del paesaggio, è anche quello che definisce la cerchia del nostro io.» Nonostante i paesaggi di Zanzotto siano decisamente diversi dallo spazio presentato nei testi sovrastanti, è possibile applicare questa citazione alla tua poetica?
Sembra essere presente una dicotomia fra interno ed esterno, la cui reciproca indifferenza è simboleggiata dal sole, che è lì «come se niente fosse». Tra l’altro, il mondo esterno fa breccia all’interno della camera sempre attraverso il tempo meteorologico; questo particolare ha un significato preciso?

Ricollegandomi alla risposta precedente: nella mia scrittura i fenomeni meteorologici sono le manifestazioni (segnatamente fuori dal controllo del soggetto) del tempo e dunque del progetto. Questo può aiutare a capire come lo spazio chiuso – che sia la propria cameretta, con gli effetti personali rassicuranti e in ordine, o una stanza d’ospedale con tutta la sua attrezzatura di monitoraggio, o ancora un semplice quadrato i cui lati rimandino a delle virtuali pareti insormontabili – sia a tutti gli effetti il paesaggio ideale per chi voglia restare sorvegliato e al sicuro dagli influssi esterni, siano essi il vento, la pioggia o anche solo il «vulgo […] nemico et odioso».
Aggiungo, sfruttando la citazione, che in letteratura è raro costruirsi un paesaggio ex-novo, personale, non debitore di ciò che si è letto o visto in altre opere artistiche: la mia cameretta, per esempio, viene sì da Petrarca, ma soprattutto dagli ambienti angusti di Kafka e dalle inquadrature di Lynch.

Il modo in cui è raccontata sia la propria interiorità che l’intimità vissuta all’interno della stanza è caratterizzato da una lucidità senza sconti; questo accentua il contrasto fra presenza e assenza. Tuttavia è come se il soggetto fosse irrimediabilmente presente a quest’assenza. «I migliori sono quelli che scompaiono», «chi non rientra nell’inquadratura, chi è già altrove» sono come l’io lirico che guarda gli altri mentre fanno esattamente ciò che fa lui, cioè sparire. Quest’assenza è tanto estenuante proprio perché, alla fine, è presente a sé stessa e sopporta sé stessa?

Buona parte del lavoro di uno scrittore sta nel saper osservare con la giusta lucidità – ma anche con una buona dose di logica simmetrica, per dirla con Matte Blanco – il mondo che lo circonda. In contrapposizione alla vita, che di continuo si modifica, si sposta, si consuma fino a sparire, lo scrittore deve rimanere lì, limitarsi a testimoniare e ricostruire – perlomeno nel momento in cui scrive.

In Progetto per S. non c’è sforzo di testimonianza, ma c’è volontà di ricostruire, o meglio riorganizzare, il reale. Ciò che è scritto sulla pagina non esiste, ma può essere esistito. E ancora: ciò che è esistito può trasformarsi in ciò che è scritto. Questo è forse l’unico potere che concedo alla scrittura oltre a quello, squisitamente personale, di poter far sparire dalla mia testa tutto ciò a cui non voglio più pensare, dandogli una forma e dunque falsificandolo in narrazione. Anche qui, come si vede, la scomparsa di qualcosa è, se non il complemento di causa, sicuramente il complemento di fine.

Roberto Batisti, nella sua recensione su La balena bianca, ha scritto: “a Burratti, come ad altri poeti venti-trentenni d’oggi, Sant’Agostino o John Cage servono così come serve Zelda”. In Progetto per S. come anche nei tuoi ultimi lavori i videogiochi, le riscritture di brani musicali o i riferimenti al mondo dei manga, gli esperimenti di googlism, tutto è necessario per mettere in scena quello che si potrebbe definire “un grande racconto del vuoto”. Questi riferimenti si possono leggere anche come schermi o maschere dell’io? Concordi con Batisti sul fatto che questa assenza di paura nell’uso di riferimenti alla cultura pop sia un tratto distintivo dei poeti che appartengono alla generazione degli anni ’90?

Credo che un lento cambiamento dei riferimenti e dell’immaginario nella produzione letteraria sia auspicabile e, almeno in parte, già in atto. Una precisazione: tendiamo a definire cultura pop più o meno tutto ciò che non fa parte delle arti tradizionali. Secondo questa idea l’uso di materiali appartenenti al mondo dei videogiochi, delle serie TV, della musica rock creerebbe una sorta di scarto verso il basso, un nuovo modo di «far cozzare l’aulico col prosastico». Ecco, sono sempre meno d’accordo con questa concezione. Prendendo come esempio i videogiochi, potremmo dire con una certa approssimazione che sì, Call of Duty è pop (anche se preferirei parlare di Masscult), mentre Zelda è un classico e Earthbound è oggi un’opera di nicchia. Ne consegue che citare Call of Duty e citare Earthbound in un testo sono due operazioni molto diverse negli effetti, nel portato culturale e anche nei requisiti di informazione richiesti al lettore. Io, ovviamente, scelgo di citare Earthbound.

Sono passati tre anni dalla pubblicazione di Progetto per S. e naturalmente, a distanza di tempo, la considerazione che un autore ha del proprio esordio difficilmente rimane immutata. Cosa vorresti che altri ereditassero di questo libro? E, per tornare al presente, come e verso quali temi pensi si stia orientando la tua scrittura?

Complice forse l’alta attenzione critica ricevuta, a distanza di anni tendo ancora a considerare Progetto per S. l’esordio che volevo scrivere. Ne vedo, ovviamente, anche i limiti: un’incertezza non tanto formale quanto di format, una concentrazione monolitica sul soggetto, una visione del mondo che lascia spazio a poche alternative contemplabili. Vorrei però che del libro fossero apprezzate – e, perché no, ereditate – almeno due cose, quasi contrapposte: 1) la tensione alla libertà, intesa come volontà di scrivere un’opera così come la si immagina, senza compromessi, un’opera che sia sì il frutto di ciò che si è letto e apprezzato ma anche l’espressione di una poetica ragionata e, per quanto possibile, personale; 2) la tensione verso il lettore, sia questo un destinatario reale o immaginario, scrivere ciò che può riguardarlo, farlo sentire realmente compreso nel discorso, magari rinunciando alle prove di bravura e ai vizi letterari autoreferenziali. Tutto quello che ho scritto e che scriverò è modellato su quello che io stesso vorrei leggere: la mia scrittura si basa sulla scommessa che quello che vorrei leggere io sia quantomeno vicino a quello che vorrebbero leggere gli altri.

Circa i progetti futuri: sto lavorando a un nuovo libro che non vedrà la luce in tempi brevi. Posso solo dire che sarà meno “frastagliato” a livello formale ma affronterà tematiche e situazioni diverse e più complesse. Nel frattempo ho anche iniziato a scrivere un romanzo.

intervista a cura di Silvia Righi e Berenice Valerio

7-5-8

Adesso siediti. Rilassati. Espira con lentezza, stringi gli occhi nel pensiero e dimmi: com’è la vita senza un significato?

Dormire senza sonno, non sentire il sapore del cibo. E quel prurito continuo ai capelli, sotto i bulbi, che scava tra le placche del cranio come per estrarre il vuoto.

Le armi pesanti, il focus: non era una soluzione. Le proiezioni erano tutte errate.

Fuori dal tempo e ferma nello spazio, sempre la stessa cassaforte di metallo, combinazione 7-5-8: le sue pareti fredde a contatto con la guancia, gli angoli che risucchiano la luce dei tesori al suo interno.

È stata di tuo nonno e di tuo padre; adesso è vuota. Come ogni tesoro, come ogni cassaforte, come ogni narrazione vera o indotta, fatale o profana che deservi.

Non sei speciale, sei solo strano. Trent’anni e forse ancora senza accorgertene. Dall’altro lato della cassaforte.

*

GRISÙ CHE DORME

Alle mie spalle ci sei tu che dormi e mi aspetti. Riesci a fare le due cose insieme, come se il tuo cervello dormisse per aspettare meglio, oppure aspettasse per potersi addormentare.

Io sono qui, bravo ad essere quello che sono: una persona seduta al computer. Perpendicolare a te, due metri di abisso fino al letto in cui non voglio scivolare, leggo articoli sull’antispecismo per criticarti meglio domattina.

In un futuro prossimo, le idee che ci dividono non saranno più uno stimolo dialettico, una reazione chimica esplosiva, ma solo una muraglia su cui scrivere sopra con le unghie, senza parlarci più. Gli schemi sembreranno un labirinto, il mio braccio sarà seppellito dal tuo lato.

C’è tanto verde nel lato del letto in cui dormi tu. Anche tanto blu. Le zanzare ti inseguono come se fossi incinta. Se i cani del vicino abbaiassero, potrei sentirti girarti sul fianco per l’ultima volta nella mia vita.

Mi dispiace. Non ho più la forza per stare meglio entrambi. E adesso è così giorno, è così tardi. Minuti e millenni prima di alzarmi e stendermi accanto a te. L’alba che ha smesso di essere un’alba, esaurendo la sua simbologia nel suo contrario.

Aspetterò che tutto scada secondo i miei calcoli. Lascerò all’inerzia l’altalena della sopportazione. Nel frattempo, sognerai che una persona non è da un’altra parte, non sfugge al tuo controllo, non ti abbandona; eppure non è lì.

*

ASPARAGI

Piumone, 4:00 di primavera. Mi considero un uomo intelligente, ma ci sono molte cose basilari che non capisco. Per esempio il lavoro, gli effetti a lungo termine dell’alcol, che cosa sono gli asparagi.

Gli asparagi sono i germogli della pianta omonima, si usano per fare la frittata con gli asparagi e il risotto con gli asparagi. Si mangiano anche crudi, prendendoli in mano e strappandoli coi denti.

L’ho scoperto su Wikipedia, mentre mi rifiutavo di capire altre cose più importanti. Per esempio che la mia relazione è ormai un contratto a tempo determinato. Questo mi tranquillizza, però non sono sicuro. Mi sento triste in un modo che fa chiudere le finestre.

La lampada illumina l’epoca in cui sono rimasto per l’ennesima volta. Se la spengo, sogno due colonne con una faccia umana scolpita sulla cima. Arriva un nano, prova a buttarle giù, la colonna con la faccia di Grisù si inclina e va a baciare sulle labbra la faccia dell’altra.

Il sogno significa che la mia relazione è finita, che ho fatto in modo che finisse; significa anche che Grisù ne ha cominciata un’altra tutta sua.

Ho sempre voluto essere l’artefice degli avvenimenti, ma senza alcun interesse per gli avvenimenti in sé. Un deus ex-machina, un giudizio, un astrologo della domenica. Adesso, invece, vorrei soltanto dormire la vita, stare a guardare gli altri mentre la realizzano.

Le persone migliori sono quelle che spariscono. Sotto il piumone, alle 5:00 di primavera, respirando l’odore dei calzini. Mi piacciono gli odori che tengo solo per me.

Il nano sbuca fuori dal letto all’improvviso, scintilla i denti gialli masticando gli asparagi. Ride, sputa, dice te l’avevo detto. Quando mi giro sul fianco mi abbraccia, mi lascia dormire.

*

TRUE ENDING

È una mattina dopo un temporale senza tracce – un balcone troppo in basso, un’incapacità di intenti, una catastrofe avvertita e mai avvenuta. O forse qualcosa è avvenuto ma solo una mattina dopo l’altra, dietro le tapparelle degli occhi, lo stesso di quando i piedi hanno sentito il materasso troppo corto, e poi troppo usurato, e poi nessuna mamma o donna è più comparsa sulla soglia della stanza, come un presentimento che si avvera. Comunque c’è il sole. Fili invisibili si tracciano e riflettono nella luce entro il paesaggio di una casa, un cortile, un appartamento residenziale collocato al limite con la campagna. L’uomo sorride con disinvoltura. In certi momenti la sua vita è stata come una cascata, adesso i lineamenti sono rilassati e netti, espressioni trattenute sul viso molto a lungo. Nessuna sensazione, nessuna paura umana, soltanto una presenza fuoricampo. Fuoco: una di quelle cose di cui non sente la mancanza. L’azione perduta di chi non rientra nell’inquadratura, di chi è già andato altrove, eclissando la memoria, senza lasciare altro che un’espressione di rimando, una storia o un’immagine. Nessuna sensazione, nessuna paura umana, soltanto una mancanza fuoricampo. C’è il sole, come se niente fosse. S. lo nasconde con l’icona del Cestino.

Simone Burratti

Nota dell’autore

Il primo testo, 7-5-8, è inedito; 11h (Nuovi modi per uscirne) e True Ending sono tratti da Progetto per S. (NEM 2017); Grisù che dorme e Asparagi fanno parte di un ciclo di testi, Come un erasmus, parzialmente inedito.

Simone Burratti

Simone Burratti

Simone Burratti (Dunwich, 1990) vive a Padova. È stato fondatore del sito formavera. Sue poesie e racconti sono apparsi sui principali blog e riviste, oltre che nelle antologie Poeti per l'infinito (DiFelice, 2019), Abitare la parola. Poeti nati negli Anni Novanta (Ladolfi, 2019) e Planetaria. 27 poeti dal mondo nati dopo il 1985 (Taut, 2020). Con Progetto per S. (NEM, 2017, prefazione di Stefano Dal Bianco) ha vinto il Premio Castello di Villalta Giovani, il Premio Camaiore Proposta ed è risultato finalista al Premio Mauro Maconi (sez. B.) e al Premio Cetonaverde Giovani. Attualmente gestisce un canale YouTube sulla poesia contemporanea. ​

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