Semën Chanin (Simon Hanin) è nato a Riga nel 1970. Noi lo abbiamo incontrato grazie alla slammer Eugenia Giancaspro. Quest’ultima è – a nostro parere – una delle performer più interessanti nel panorama del poetry slam, in quanto unicum per la particolarissima ricerca dei punti di contatto tra suono e gesto, verso la possibilità di tradurre poesia in lingua dei segni. A Milano, il 9 maggio 2019, con i due artisti, MediumPoesia ha realizzato il reading Omissis e altre poesie, tra immagine, video, lettura e traduzione istantanea in LIS (linguaggio dei segni) estratto dall’ultima raccolta del poeta lettone (Omissis, Miraggi Edizioni) . La performance la potete vedere qui, o sul nostro canale youtube così che possiate farvi un’idea di chi è Simon Hanin.
Semën, insieme al gruppo Orbita, è stato tra i primi poeti a lanciarsi in quelle esplorazioni multimediali tra scrittura e nuovi linguaggi che nel nuovo milennio in molti altri avrebbero percorso – o meglio, stanno percorrendo. Ma non è solo questo. Dietro alla spinta verso un modo di fare poesia dove i confini tra i generi si confondono, dove le sperimentazioni aprono ad una enorme gamma di possibiilità ancora non catalogate, si cela sulla carta una grande cosapevolezza del mezzo poetico.
L’incessante lavoro con la lingua, conduce il lettore verso «un’indagine incerta, circospetta di un realtà che si sa di non poter penetrare fino in fondo» (Omissis, miraggi edizioni, dall’introduzione di Massimo Maurizio). Quella di Semën Chanin è una parola poetica che definisce microcosmi tanto individuali e ordinari quanto capaci di relazionarsi l’un l’altro, creando mondi fragili e profondi. La poesia di Semën emerge tutta insieme al suo paradosso, è buffa e giocosa e poi malinconica e nostaligca, estremamente commovente, sempre generata dal carattere stupefacente delle più insignificanti realtà.
Qui proponiamo quattro poesie, in vista del festival di poesia totale La Punta della Lingua 2019 che lo vedrà tra gli ospiti insieme al gruppo Orbita.
traduzione di Elisa Baglioni
*
una ricerca sul folclore dell’isola
dove sono rimasti un paio di barbari
in uno stato di totale
abbruttimento, lo stadio selvaggio
ha ceduto il posto all’imbestiamento, si avviano
di fatto all’estinzione. venerano le linee zebrate
e i semafori. gridano “bar-bar!”
quando vedono un bar. mangiano
le cotolette con le mani, e spesso
strizzano gli occhietti
in barba ai responsabili della ricerca
i barbari se la sono svignata
insieme a una studentessa
coi biondi capelli. dalla riva si vede
lei sulla poppa del traghetto
con un dittafono in mano e un branco
di giovani vandali le ricamano storielle
lo sciabordio dell’acqua attenua i suoni
della parlata barbara. l’inestimabile
materiale se n’è andato, borbotta sotto i baffi il professore
*
dai, spostiamo la sessione di ipnosi a martedì, c’è posto fino a pranzo
potete? tutti possono?
non vedo le mani. uno, due. allora la spostiamo
compiti per casa: alleniamo lo sfocamento dello sguardo
mesmerizziamo gli oggetti inanimati
di riflesso montiamo su tutte le furie
e non dimentichiamo le distensioni corrette di schiena
per la prossima volta portate qualcosa
di caldo e le funi da rosicchiare
*
se mi dico di ricordare la strada
puoi star certo che mi rimane impressa
a parte mi dico cosa scordare
e cosa appositamente ricordare
non è mia abitudine fare d’ogni erba un fascio
la meccanica è semplice e questo è il punto
voglio dire, non tiriamola per le lunghe
per quanto i capelli da soli si raccolgano in riccioli
gli chignon – ecco chi di natura non solleva rivolte
proprio per questo urge qualcosa di lana
a me, le mie pecore merinos
si può pettinare e pettinare, che cachemire
ma il vento strappa di mano la busta
non te la fa neanche dissigillare perbene
l’intestatario, pare, non pervenuto, la lettera tornata al mittente
due stranieri introversi raggiungono il ferroviere
allargando con cipiglio le braccia
svanisce la lanugine davanti ai nostri occhi
perdura il ronzio insettucolo dei meccanismi
a muovere l’incalcolabilità delle zampette
un rombo grave
le gambe della dea della corsa con un salto, un volo rapido
d’improvviso s’impaludano in un ralenti fino alle ginocchia
chi distende le punte, chi rallenta il passo
non lo sai
chi deve, tra l’altro, ancora allungare il mantice a poco a poco
torneranno le voci insettivore, chiameranno dal Nokia
a chi telefona? dalla voce si sente che Lei
è dispiaciuto, ma chi parla? è Lei che ha messo giù?
si è chiusa da sola?
la voluttà della frenata striscia dentro spirali vuote,
nella loro totale insensibilità verso gli stimoli esterni,
complici le spirali piene
Semën Chanin (Simon Hanin)
Semën Chanin (Simon Hanin) è nato a Riga nel 1970. È uno dei fondatori del gruppo Orbita, oltre che autore delle raccolte di versi «Appena poco fa», 2003, «A nuoto», 2014, «Ma non da quello», 2017. Scrive in lingua russa e i suoi libri sono stati tradotti in italiano, lettone, ceco, ucraino, serbo. E' artista performativo e visivo: ha realizzato le performance e installazioni poetiche «Teatro per un solo volto» e «Poesia tridimensionale» oltre alla mostra fotografica «M come Metodo». Collabora costantemente con musicisti e artisti. Ha partecipato al festival di poesia di Berlino, alla biennale di poesia di Mosca, alla biennale di arte di Venezia e ad altre manifestazioni internazionali. Quest'anno sarà ospite col gruppo Orbita al festival di poesia totale La Punta della Lingua, che si svolgerà nella prima settimana di Luglio ad Ancona. In italiano le sue opere sono pubblicate nelle antologie Nell’Orbita di Riga (L’Obliquo 2006) e Deviando sollecito dalla rotta (Stilo 2016). Il suo utlimo libro si intitola "Omissis" (Miraggi, 2018).