Pietro Cardelli / Sparare a zero. Intervista e testi

Per la decima puntata del format "Sparare a zero", la redazione intervista il poeta Pietro Cardelli
  1. Tra i libri usciti negli anni Duemila puoi indicarne 5 fondamentali per il tuo percorso?

Mi vengono in mente – come un flash – alcuni titoli e alcune copertine. Sono quelle, immagino, che più mi hanno condizionato, che ho letto con più passione e amore e che riprendo in mano di tanto in tanto. Li riporto tutti: Lorenzo Carlucci, La comunità assoluta (2008), G. Bortolotti, Tecniche di basso livello (2009), Guido Mazzoni, I mondi (2010), Stefano Dal Bianco, Prove di libertà (2012), Giulia Rusconi, Distanze (2013), Alessandro Broggi, Avventure minime (2014), Simone Burratti, Progetto per S. (2017), Carmen Gallo, Appartamenti o stanze (2017), Marco Villa, Un paese di soli guardiani (2019). Infine, in ambito narrativo, per me è stato molto importante tutto quello che è stato scritto da Vitaliano Trevisan.

  1. Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana? Per chi scrivi poesia?

Sì, ultimamente tendo a pensare che la poesia possa svolgere, almeno per me, una forte funzione demistificatrice rispetto alle verità a cui ci si aggrappa per sopravvivere. Come se a ciò che definiamo poesia associassi anzitutto una postura e una disposizione mentale: qualcosa che rimanda a una pratica del dubbio, a un’assunzione di responsabilità, a un cappio che strangola e che libera insieme. Da un lato, la decostruzione delle proprie verità, dei propri sì; dall’altro, l’obbligo a ricercarle e a metterle in pratica. Una forma di vivere, insomma.

Per quanto riguarda invece la seconda domanda, ho sempre pensato che l’allocuzione, intesa come modulo stilistico, di cui è pervasa la poesia che mi piace, rifletta l’ambivalenza insita nel rapporto autore-lettore: da una parte, una tensione verso l’alterità nell’ordine (o, per meglio dire, nella speranza) di un riconoscimento; dall’altra, la consapevolezza dell’impossibilità di una piena comprensione reciproca. Ecco, mi pare che ciò che scrivo sia impregnato di questa dialettica e – in qualche modo – si ponga come un continuo tentativo di farvi i conti su una pluralità di livelli. In ogni caso, anche qui, ciò che mi interessa è una postura, un modo di fare, un obbligo a cui mi sottopongo: non dimenticare il lettore, la sua presenza; visualizzarlo se necessario; scrivere sempre e comunque “come se”, pena il solipsismo più peggiore, quello di chi crede di parlare e in realtà sta rimuginando.

  1. Senti di fare parte di una comunità poetica a cui aderisci? Com’è il tuo rapporto con altri poeti viventi e con chi ti legge?

Sì, credo di far parte di una comunità anzitutto, e – di conseguenza, obbligatoriamente – anche di una comunità poetica, se così si vuol definire, nei modi e con gli strumenti che questo tempo storico, e i suoi rapporti di forza, consente. In ogni caso non credo, a livello personale, di avere altre modalità di vivere la realtà, e così dunque anche la poesia, se non tendendo ad una dimensione comunitaria, e quindi dialogica. Formavera, la rivista online di poesia e poetica nata a Siena nel 2013, è stata per me una grande palestra, o meglio, un momento di senso estremamente importante, in cui – per una serie di anni – è stato possibile lavorare ad un’elaborazione intellettuale e linguistica, di visione del mondo e del linguaggio, in maniera condivisa e collettiva, conflittuale anche, ma sempre seria, sempre auto-responsabilizzante. Credo che sia un valore da preservare. Ancora oggi, in ogni caso, tendo a ricercare questa dimensione comunitaria di riflessione sul reale e sul linguaggio: non più, in questo momento, attraverso una rivista, ma sempre attraverso una oscillante continuità di scambi con le persone con le quali mi pare di condividere un percorso, con l’obiettivo – magari rimandato, ma sempre presente – di dar vita a qualcosa di tangibile, di afferrabile.

  1. Senti di inserirti all’interno di una tradizione poetica italiana? Avverti una particolare vicinanza con tradizioni poetiche in altra lingua?

Non saprei se “inserirsi” è il verbo giusto. Sicuramente la tradizione poetica italiana, per mere (ma mai abbastanza ribadite) ragioni linguistiche e per personali e precise ragioni di studio, è il fondamento attraverso il quale mi sono avvicinato alla poesia, vi sono cresciuto, vi ho trovato una casa abitabile e che continua ad affascinarmi in primis per ragioni stilistiche. Ci sono però alcuni autori esteri che, a livello di contenuti (e in certi casi di sintassi), mi pare abbiano avuto una forte influenza sulla mia scrittura, anche solo come elemento d’innamoramento: penso a Rilke, Mandel’stam e Brecht oppure a Michaux, Cortazar e Wallace Stevens.

  1. Sapresti indicare una forma artistica e una disciplina scientifica, se ci sono, che influenzano più di altre il tuo processo di scrittura? In che modo entrano in poesia?

Molto banalmente, grazie ad alcuni amici e amiche che si occupano di fisica, di tanto in tanto mi intrattengo con loro in discussioni che nascono dai loro studi o dalle linee di ricerca della fisica teorica odierna. Tali tematiche, purtroppo, a causa della mia ignoranza, entrano in poesia ad un livello estremamente superficiale e semplicistico, ma credo che – se coltivate con più serietà, da me o da altri – potrebbero portare ad esiti molto interessanti.

  1. Che rapporto hai con la metrica e la rima?

Grazie ad un fulminante lezione di Stefano Dal Bianco al primo anno di Università, mi sono innamorato della metrica e, più in generale, di tutti quegli aspetti che riguardano metro e ritmo in poesia. Sulla scorta di questo innamoramento, ho dedicato i miei anni universitari a studiare questi aspetti della lingua in riferimento a tanti autori della Tradizione italiana: da Cavalcanti a Petrarca, da Leopardi a Fortini fino, per citare un nome meno noto, a Beppe Salvia. Ma soprattutto, al di là dell’ambito accademico, mi è sempre interessata, anche in questo caso, una postura: una modalità di interiorizzazione della Tradizione che, sottotraccia, invisibile al lettore, sappia – per l’appunto – tramandare certi stilemi, certi ritmemi, certi tic attraverso e oltre il tempo, come frammenti che, continuamente, trovano una nuova risignificazione e ci parlano.

  1. Tra le nuove generazioni ci sono 3 poeti che ritieni particolarmente preminenti o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?

Sì, i primi che mi vengono in mente sono Maddalena Lotter, Marco Villa e Isacco Boldini.

     0. Acer in fundo, se non vuoi dirci 3 poeti contemporanei che proprio non ti piacciono, puoi indicare uno o più testi del tutto distanti dal tuo modo di ‘sentire’ e ‘pensare’ la poesia?

Tutto ciò che si nutre del ‘poetese’, di una liricità epigonica, di una metricità meccanica e di un nichilismo à la page. Oppure, riprendendo un intervento di Simone Burratti pubblicato su formavera nel 2016: “[…] un’opposizione di linea: contro la leggerezza e la spettacolarizzazione, contro la deresponsabilizzazione della scrittura, contro un’idea di poesia omologante che rifiuta tutto il resto, talvolta senza neanche saperne niente”.

***

Ti chiediamo ora di proporci alcuni tuoi testi poetici

da Tu devi prendere il potere (Interlinea 2023)

NON FARE SENZA DI NOI LA VIA GIUSTA

Quello a cui mi ero affezionato era un’immagine di me sovrapposta agli altri, era un io – x, anzi, un io + x = noi, dove x sono gli stilemi, i traguardi, le posizioni che uno pensa di sottrarre e che invece aggiunge, e si falsifica. La consapevolezza non era abbastanza per la rinuncia, la più classica delle guerre senza vincitori. Ciò che mancava era: capisco ma non mi rifletto, mi vedo ma non mi frammento: cambio posizione.

Allora mi sono dato delle regole e mi sono accontentato delle mie conquiste: confondersi tra le persone, dimenticare inclinazioni e abitudini, smetterla di giudicare, smetterla di dare consigli. Ho pensato a cosa implicasse essere un intero; se si può vivere anche senza desiderio di crescita.

E pateticamente, ogni giorno, ritornare sui propri passi, frenare la riappropriazione, ricominciare (mai davvero) tutto da capo. Di vero, di certo una strana sensazione di imbarazzo e una scarsa propensione alla cattura. Il modello a cui aspiravo era: masochismo senza distruzione, ordine degli addendi.

Il viandante si alza sempre prima dell’alba quando deve iniziare un cammino.

*

dinosauro, neve, felicità

La coppia che si bacia non è una coppia,
è un grande dinosauro felice.
Quando si muove provoca piccole scosse
e si diverte a giocare con noi.

L’impronta del dinosauro è un sonaglio
che resiste al tempo e non va più via:
ci vogliono altre orme per nasconderla,
ci vuole anche la neve per fermarla.

*

L’ARCIERE

Ho visto il cielo per la prima volta a San Pedro de Atacama, in Chile. Era notte. C’erano più stelle di quante ne avessi mai viste prima.

Era tanto che non pensavo alle stelle, al cielo, alla notte. C’era anche la luna: tonda e luminosa.

Le stelle sono importanti perché hanno una loro forma e un loro destino. Gli Incas guardano il nero fra le stelle e anche lì vedono una forma o un destino.

Dobbiamo avere fiducia nelle stelle, specie se sono così vicine, specie se non hanno paura della terra, e il mattino le rispetta, con pudore.

Nel cielo vedo una costellazione, la sola che ho imparato. È un cane o un centauro; non so dire esattamente. Ha il volto di uomo e il corpo di animale e guarda sempre nella stessa direzione.

È il mio arciere e sta sempre là, al margine del cielo, quasi a contatto con la terra, ma lo vedi solo se nascondi la paura, solo se lo cerchi ardentemente.

Ho immaginato tutti gli uomini questa notte su questo van guardare nel cielo le stelle: l’arciere che risponde a ogni voce, la freccia che illumina il buio.

Il cammino esulava dal bisogno. Il tempo era gentile perché ne avevamo cura.

***

Pietro Cardelli è nato nel Mugello nel 1994. Si è laureato in Lettere Moderne e in Italianistica a Siena, dove ha fatto parte della redazione della rivista di poesia e poetica ‘formavera’. Attivista e operatore culturale, è stato tra i fondatori dei collettivi ‘Liberamente’ e ‘Connections’. Oggi si occupa di cultura e comunicazione per Arci Firenze. Ha esordito come poeta con La giusta posizione (XIV Quaderno di poesia italiana contemporanea, Marcos Y Marcos, 2019), confluito in Tu devi prendere il potere (Interlinea, 2023).

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da Ultima*Eldorado | “Lettera al prete Gianni” di Lorenzo Carlucci

Riprendiamo il ciclo di pubblicazioni legate al primo volume del progetto Ultima, Ultima*Eldorado. Dopo il saggio a firma di Maria Borio, in apertura del volume, pubblichiamo un estratto dello scritto successivo, di Lorenzo Carlucci, intitolato “lettera al prete Gianni”.

Ultima*Eldorado custodisce una raccolta di quattro interventi di poetica. Maria Borio, Lorenzo Carlucci, Carmen Gallo e Francesco Terzago hanno perlustrato la terra della scrittura, i propri limiti, i propri desideri, portando alla luce ciò che hanno trovato nel percorso. Eldorado è il sogno degli uomini che vivono fra le poche cose del mondo; e che scavano per cercare. E così trovano non come restare, ma i resti di tutte le cose del mondo.​

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