- Tra i libri usciti negli anni Duemila puoi indicarne 5 fondamentali per il tuo percorso?
Direi Wisława Szymborska, La gioia di scrivere (2009), Zbigniew Herbert, L’epilogo della tempesta (2016), Mark Strand, Tutte le poesie (2019), Adam Zagajewski, Guarire dal silenzio (2020) e, se è possibile citare un libro edito già prima del Duemila, ma che io ho letto solo in questi anni e che considero importante per il mio percorso, nomino Le poesie di Marianne Moore.
- Nella tua esperienza, il fatto di scrivere poesia si riflette nella vita quotidiana? Per chi scrivi poesia?
La poesia, sia quella che scrivo sia quella che leggo, ha a che vedere con la mia persona, perché mi trasforma, modella il mio pensiero, forma/trasforma/rivela/nasconde la mia identità. E’ insomma l’indizio, talvolta forse la causa prima, di una perenne autocreazione di sé, nei limiti in cui ciò è possibile.
Il destinatario dei miei testi può variare, ma tendenzialmente ha il volto del fratello che non ho avuto, che ha accompagnato la prima parte della mia produzione poetica sotto forma di angelo, sebbene in un’ottica che intercetta e stravolge l’angelismo di Rilke.
- Senti di fare parte di una comunità poetica a cui aderisci? Com’è il tuo rapporto con altri poeti viventi e con chi ti legge?
Ho sentito a lungo di essere parte di una comunità, che ho anzi tentato di costruire e curare. Ma dall’opera comune sono passato a quella che definisco una profezia privata. Vivo la comunità della poesia nella sua assenza, nel desiderio di essa. Anche le mie attuali frequentazioni con poeti o scrittori sono tenute vive alla luce di altro: una promessa di amicizia, una simpatia umana. La poesia entra in questi rapporti incidentalmente.
Quando un lettore mi cerca, ne nasce un rapporto strano. La poesia deve diventare un oggetto autonomo, come di un’altra persona. Se ne deve poter parlare come di una sedia. Non sopporto che qualcuno mi attribuisca un’aura da autore. Sono una persona: l’autore creato dal testo, la voce che eventualmente qualcun altro riconosce “autorevole”, non sono io.
- Senti di inserirti all’interno di una tradizione poetica italiana? Avverti una particolare vicinanza con tradizioni poetiche in altra lingua?
Non esiste più una tradizione poetica italiana. E’ evaporata. La poesia che viene scritta in lingua italiana si nutre anche delle altre tradizioni, fruite direttamente oppure attraverso la traduzione.
Io amo attraversare tutte le poetiche perché c’è fondamento in ogni sguardo e non sento di riconoscermi in una soltanto, benché a livello formale o teorico possa essere accostato maggiormente a una opzione anziché un’altra.
- Sapresti indicare una forma artistica e una disciplina scientifica, se ci sono, che influenzano più di altre il tuo processo di scrittura? In che modo entrano in poesia?
Da piccolo avrei voluto diventare pittore, a un certo punto. E da sempre coltivo interessi in ambito scientifico, teologico, psicologico e storico. La mia poesia se ne nutre, suppongo, in modi che non saprei sempre riconoscere. Alcuni versi, questo posso testimoniarlo, sono nati da input differenti. Quando per esempio ho paragonato i punti esclamativi, di cui abusano i miei studenti delle medie, a “lillipuziani spilli” di un combattimento che allude a fatti ben più tragici, ho visto quel verso prima di pensarlo. E’ come se l’avessi letto, poi trascritto. Così, altre volte scelgo versi o parole sulla base di una spinta musicale, di cui ho solo una vaga intuizione e che, magari, rileggendomi e lavorando sul testo in una fase successiva, percepisco meglio e cerco di far emergere. Non avrei mai progettato, per esempio, una poesia “seria” sulla paternità (“Ti incido alla radice”) con soli settenari, che tengo a sentire leggeri, più adatti ad argomenti se non frivoli almeno presi con un tono ironico. A proposito, in quella poesia sono finite indicazioni anatomiche che non avevo premeditato: ho solo seguito la coerenza di una direzione, una volta imboccata. Un medico/poeta mi ha fatto notare che tali indicazioni sono un po’ imprecise, perché avrei “attinto l’inchiostro” per tramandare la vita dalle vene anziché dalle arterie.
- Che rapporto hai con la metrica e la rima?
Ciò che conta è il ritmo, ma mi appoggio spesso alla metrica perché impone un attrito e un filtro che ti obbliga a vigilare sugli afflati dell’io. E se la poesia ha una dignità artigianale, se sta in piedi e funziona bene (per tornare all’idea della sedia), anche qualora non piacesse, avrebbe una dignità artigianale sotto la quale non scenderà.
La rima, invece, può avere un valore musicale, purché non esornativo. Meglio se genera (almeno nella mia testa) una terza idea, che nasce dall’associazione delle due parole in rima. Verrebbe dunque da parlare della rima come dell’armonia, ma il conseguente paragone della metrica con la melodia non mi convince, perché la metrica serve anch’essa per creare una struttura verticale, con richiami, echi, sovrapposizioni da un verso all’altro.
Metrica e rima però sono pericolosi: rischiano di imporre la musichetta, di impostare retoricamente la voce. Sono trappole per il compiacimento. Direi allora che mi piace il rischio: amo danzare fra le tagliole. Se arrivo in fondo alla poesia e allo scatto dell’ultimo verso, magari persino della rima, porto in salvo un sentore selvatico scappato al testo, sono soddisfatto.
- Tra le nuove generazioni ci sono 3 poeti che ritieni particolarmente preminenti o a cui pensi sarebbe interessante porre queste domande?
Sono del ’73, quindi intenderei con “nuove generazioni” i poeti nati almeno dagli anni Ottanta in poi – per quel che significano date così pretestuose. Ma la domanda non mi piace, perché impone uno sguardo valutativo verso i più giovani. Credo invece che siano i giovani a dover valutare, in piena libertà, chi li ha preceduti. Sono loro che devono eleggere, costruire una eventuale tradizione. E tuttavia non voglio fuggire alla vostra richiesta. Ci sono anzi molti poeti giovani che stimo e dai quali mi aspetto di imparare qualcosa o quanto meno di ricevere una visione diversa, con cui confrontarmi. Me ne vengono in mente più di cinquanta, ma giro la ruota e pesco Marco Aragno, Guido Mattia Gallerani e Carlo Carabba – tanto per citare persone con cui non ho legami personali. Ma se vi servono nomi di poete, per bilanciare, oppure di più giovani, ne ho in mente diversi.
0. Acer in fundo, se non vuoi dirci 3 poeti contemporanei che proprio non ti piacciono, puoi indicare uno o più testi del tutto distanti dal tuo modo di ‘sentire’ e ‘pensare’ la poesia?
Domanda birichina! E lo sapete, perché date per scontato che la si eviti… O te la cavi con Gio Evan, Francesco Sole e Franco Arminio o inneschi, nel piccolo e sovraffollato mondo della poesia, un terremoto di malumori, risentimenti, meditate vendette. Eppure nei primi anni del Duemila ho pubblicato saggi (poi inclusi nel libro Nel foco che li affina) anche molto critici nei confronti di poeti “intoccabili” come Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Maurizio Cucchi ed altri (credo, a oggi, di essere ancora l’unico a esibire un simile repertorio). Per me, era comunque un gesto di stima e di amore per la poesia, perché si tratta di confrontarsi seriamente con i poeti più certi dei nostri tempi. Invece, tutti si aspettano una postura prona dai potenziali “figli” letterari (non per nulla le mie prese di posizione sono state viste con sospetto da molti coetanei che si sono defilati). Questo, però, significa che il problema è loro: sono loro a rivelarsi non-padri. Peccato, perché li considero maestri, influenti anche per la mia poesia, pensa un po’.
Ti chiediamo infine di proporci alcuni tuoi testi poetici.
TRE POESIE – Tratte da L’amore e tutto il resto (Interlinea 2023)
COMPITO
Quello che porta il compito alla cattedra
ha lo sguardo di chi
ha sbirciato fra le lenzuola e vuole
il suo bel voto.
Non è il momento dunque
di drizzare grafie
ricomporre sintassi. Imparerà
che scrivere col tempo non ha senso
c’è nello spazio quantissimo spazio,
che i suoi sono soltanto scarabocchi
e favole anche i numeri.
Questo è il momento di questo momento.
Così la poesia non è mai
quel che dice, ma dice quel che è.
Non alzate lo sguardo su di me.
TI INCIDO ALLA RADICE
Ti incido alla radice
dell’osso occipitale
il nome da tradire
e tramandare. Ho cura
e maestria in questo.
Dai seni della dura
madre attingo l’inchiostro.
Le rune della stirpe
scaveranno l’Atlante
fino al nervo spinale.
Ne leggerai a suo tempo
la trama, accarezzando
la nuca ancora sporca
dalla creta di Dio,
cedevole alla forza
delle tue dita, figlio.
POSTILLA PER L’ALIENO
Se nuovi draghi al tuo arrivo passeggiano
nella Baia di Halong e mammut avidi
masticano lapislazzuli e giade
del Taj Mahal; se il Cristo Redentore
fissa un ghiacciaio mentre la Garganta
del Diablo nell’Iguazù non gorgoglia
e la grande muraglia è una fettuccia
del continente oppure la quadriga
di San Marco cavalca sui fondali
del Sahara, nessuno mai saprà
la tenerezza di Ettore che innalza
Scamandrio al cielo, non avrà altre repliche
il tormento di Amleto, avranno smesso
gli angeli di Berlino d’incarnarsi
e Adamo sulla volta resterà
materia inerte, mai vivificata
dall’indice di Dio. Non si potrà
più cantare il piacere dell’estate
davanti al buio, certe sere, o l’urlo
per la rete nell’ultimo secondo,
né il desiderio che stringe nei parchi
gli amanti alle panchine solitarie.
Tra fossili di cemento e di plastica
nessun aroma buono dalle tazze
conforterà i mattini e gli scaffali
pieni di manoscritti resteranno
muti nelle biblioteche, del tutto
morto anche Orazio. A quel punto sarà
un bene non sapere come suona
questa lingua, non bere in questo calice
l’invidia. Ignaro riponi il quaderno
e lascia l’universo nella pace
di chi non sa né amore né bellezza.
***
Egli si firma Andrea Temporelli, che non è il suo nome. Ha frequentato il seminario, ma non è un prete. Ha terminato l’università, ma è tornato alle scuole superiori. Ha esordito con un volume poetico nel 2005 (Il cielo di Marte) con Einaudi, ma nemmeno da piccolo sognava di fare l’astronauta. Ha scritto saggi su oltre cento poeti, eppure non è un critico. Ha pubblicato Smarcamenti, affondi e fughe (Ladolfi ed., 2016), e non è nemmeno un calciatore. Con il suo romanzo Tutte le voci di questo aldilà si è occupato di poesia. Non è nemmeno un editore, eppure ha pubblicato gratuitamente una ventina di poeti.
Insomma, egli ha lasciato diverse tracce, e tuttavia non esiste. Nella raccolta di poesie Terramadre, il suo secondo titolo poetico uscito con Il Ponte del Sale nel 2012, ha racchiuso in versi i suddetti misteri, ma va detto che il suo ultimo libro, L’amore e tutto il resto (Interlinea, 2023), non parla d’amore e non è il suo terzo volume di poesia.