Forse dovresti accorgerti di non essere più giovane quando “ragazzi” — uomini? se questo è un… — pressappoco della tua età iniziano a ripetere i soliti discorsi bacchettoni, parlando di generazioni di sfaccendati, sconsiderati, senza responsabilità. Per non parlare della magico-rituale locuzione: “ai miei tempi”.
A dire che “noi” (?!) fummo a nostra volta definiti “bamboccioni” (Padoa-Schioppa, Brunetta) e “choosy” (Fornero), circa tre lustri fa. E così via da sempre: già nelle fonti latine, i vecchi si lagnano degli ingrati giovani.
Per fortuna — penso — sono sempre stato fuori tempo e fuori da ogni tribù del Noi: un giovane-vecchio, anti-anagrafico, con amici ottantenni e diciottenni al contempo, in arcipelago.
E ho sempre trovato assurda la retorica della maturità perpetuata dagli adulti, uno strumento di indirizzamento costrittivo verso un modello, in fondo ‘potere’. Diranno per mantenere l’ordine, la pace…
Così sto sospeso e avviluppato nel ramo, tra maturità marce che frenano ma rivorrebbero l’acerbo, e acerbità già marce che sognano un altro maturo.
Come se alcuni casi isolati poi rappresentassero una “generazione”, divenendo il simbolo. Un simbolo del solito, noioso, inveterato depensiero: voi giovani, voi vecchi, o tempora, o mores, 60, 80, 100.
Che noia, che noia, nonnulla! Ma che facciano quello che vogliono con il proprio voto e con la propria pelle, ricordo…
[…]
Ole, quid ad te,
de cute quid faciant ille vel ille sua?
[…]
Dicere quindecies poteram, quod pertinet ad te:
sed quid agas ad me pertinet, Ole, nihil.
Olo, ma che importa a te
che fanno quello o quell’altro della propria pelle?
[…]
Quindici volte avrei potuto dirti quel che ti riguarda:
ma quel che fai, a me riguarda, Olo, un bel nulla.
Marziale, Epigrammi, 7.10 (traduzione mia).
E intanto, in un’altra costa del Mediterraneo, tra maturi e bimbi, prosegue lo sterminio.
Lì, silenzio.
“Chi sente il suono del razzo sopravvive.
Siamo ancora vivi fino a nuovo avviso.” [1]
Così ha scritto la poetessa e biochimica Heba Abu Nada (1991–2023), cinque giorni prima di morire, sotto i bombardamenti israeliani a Gaza.
Ancora, qui, 60, 80, 100.
[1] “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”, a cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti, traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh, Fazi, Roma 2025, p. 71.